lunedì 20 dicembre 2010

Must have/Must be

- Buonasera e benvenuti a Must have/Must be, la religione delle fashion victims. Siete pronti?
La stanza era buia, come era stato indicato nella puntata del 12 febbraio. Il televisore Lectron 40 pollici, must del 19 giugno, proiettava un cono di luce che inquadrava un tavolo di vetro Marussi, must del 7 marzo, una lampada blu cielo Bozzini, must del 9 aprile, e in fondo Enrica. Era lì, perfettamente al centro di quell’occhio di bue catodico, pronta ad assorbire le regole del momento. La televisione ordinava, passava in rassegna, esaltava.
- Ecco la nostra ospite di oggi: Federica. Benvenuta.
- Grazie, Monica. È un sogno essere qui.
Sullo schermo apparve una ragazza: camiciola stretta di Gucci, must dell’8 novembre, jeans strappati Novelli, must del 3 gennaio, e naturalmente il must di ieri, quel cappellino nero Prada. Era una meraviglia.
- Federica l’ha comprato ieri alle 17,05. Cinque minuti dopo la fine della trasmissione: è bellissimo, non è vero?
Seguiva l’intervista. La ragazza, Federica, non diceva niente di particolare, ma in fondo cosa importava? Era stata scelta soltanto perché aveva avuto la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto.
- Il negozio Prada di via Pordenone, qui a Roma. Te l’aspettavi?
- Beh, in qualche modo lo speravo. Quando sono entrata la Ferrari di Must have/Must be non era ancora arrivata. Ma all’uscita, beh, all’uscita era lì.
- E allora che cosa aspettate? Anche voi potete essere come Federica: basta avere la fortuna di entrare nel negozio giusto al momento giusto.
Il momento, eccolo. Enrica si alzò in piedi: era vestita di tutto punto, compreso il loden dell’11 dicembre. Faceva freddo, fuori.
- Il must di oggi è....
Quanto la faceva lunga: da quando avevano sperimentato le attese, i silenzi, i vuoti, in televisione tutto era diventato come i quiz. Avevano imparato che se prometti al pubblico una rivelazione quello si incolla allo schermo, in attesa, pronto a succhiare quel che verrà.
- ...la borsa “Mantra” di Fendi.

- Fanno 897 euro e novanta, prego.
L’aveva vista ieri: aveva imparato a prevedere le mode. Ma no, ieri non costava così tanto: ieri non costava più della metà. Ma non avrebbe avuto senso comprare quella borsa il giorno prima: e se poi non fosse stata scelta? Cosa se ne faceva di una borsa da 400 euro se poi non poteva utilizzarla? Enrica non poté fermarsi a lungo a pensare: alle sue spalle una decina di ragazze aspettavano il loro turno, la possibilità di pagare i loro 897 euro e novanta e lavarsi così l’anima. Pagò in contanti, must del 2 ottobre: consegnò 900 euro a quella sciattona della cassiera e aspettò che le fossero consegnate le cinque monete di resto. Non infilò i due euro e dieci nel portafogli: Enrica si scapicollò fuori cercando una macchia rossa lungo il marciapiedi. Osservò: una Mercedes, una Smart, tre Ford. Una Fiat Jeden sputacchiò gas: dannate auto polacche. Ma no, nessuna Ferrari.
Niente. Neanche oggi. Enrica era stremata: seguiva Must da un anno abbondante, aveva speso ogni singolo spicciolo guadagnato per essere ospite della trasmissione, ma neanche oggi era riuscita a farsi notare. Doveva tornare al suo nulla: una famiglia qualunque, un ordinario lavoro da impiegata, una normale finanziaria pronta a mandarle banali rate ogni scontatissimo mese. Prese il portafogli, lo aprì e ripose con calma i due euro e dieci. Lì, accanto alla foto. Quella foto: lei, bambina, vestita malissimo. Quanti ricordi.

La vecchia casa di via Palestro, poca luce. Puzza di sudore. Sua madre, sul letto, a pochi giorni dalla morte. Un foglio sul comodino: analisi del sangue. Analisi inutili: il tumore procedeva, si espandeva senza sosta nel corpo della madre.
- Quando morirò, Enrica...
- No, mamma. Non dire queste cose.
Non aveva mai imparato a mentire. A mentire a sua madre. Glielo lesse sul volto: una piega, un mezzo sorriso. Sapeva.
- Apri il terzo cassetto, tesoro.
Un cassetto disordinato. Pillole, un libro, una scatola di fiammiferi. Una fotografia.
- Prendi la foto. Quando morirò ti servirà a ricordarti di te.
- Di me?
- Sì, Enrica. Tu sei quella lì: una bambina.
- Sono cresciuta, mamma.
- Prendila come una bussola. Un punto di riferimento.
Insomma, l’aveva presa. L’aveva conservata nel portafogli. Ovviamente non le credeva: quel tumore lì aveva attaccato il cervello. Lei era quella: non era cambiata. Certo, era vestita meglio. Ma no, non era cambiata.

- Buonasera e benvenuti a Must have/Must be, la religione delle fashion victims. Siete pronti?
La scena era identica: Monica presentava una tizia vestita secondo le regole, la intervistava, dettava il nuovo must.
- ...andare in giardino, in balcone o in terrazzo e bruciare tutto il contenuto della vostra borsa.

Vista dall’alto, la città sembrava un presepe. Questa volta, però, la conclusione era opposta: un’epifania rovesciata.
Una Ferrari si fermò sotto casa.

11 commenti:

  1. il mondo delle fashion victims.. un mondo spietato

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  2. eppoi non si è mai abbastanza fashion ...

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  3. dillo a me giardi! comunque io col mio plaid ikea mi sento molto fashion oggi, 3,99...un regalo. bel racconto

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  4. Bel racconto anche se mi ha svegliato un odio contro la protagonsta incredibile:)...per una borsa mai più di 20 euro!:)

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  5. Assolutamente - e tristemente - verosimile.

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  6. Grazie, ragazzi.
    @Calliope: fai bene. ^^ Ma attenzione: l'obiettivo del racconto non è chi spende. E' un ragionamento sull'identità che cercherò di declinare in altri racconti più avanti.
    @Ady: ecco, viva l'Ikea ^^

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  7. Ma questo era un racconto dell'orrore!
    ma la protagonista era una Winx?

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  8. Mi verrebbe voglia di inventarmi una parola nuova per farti i complimenti per questo racconto perchè quelle consuete non basterebbero... Me la invento?
    Me la invento... Questo tuo racconto è semplicemente astoniscibilizzante allo stato puro!

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