Chiudiamo questa settimana con un altro racconto di Leucò. Buona lettura.
- Ma come è bella. Chi è, la tua fidanzata? - ironizzò Eudemo arrivando all'improvviso.
Bruno fece finta di non sentirlo. Quel giorno non era proprio di buon umore e in quei casi l'unica cosa che riusciva a tirarlo su di morale era stare in riva al mare a contemplare un'immagine.
Eppure Eudemo era suo amico, per essere sinceri l'unico, ma non riusciva neanche lui a rallegrarlo in quelle giornate.
Benché fosse un capriolo, Eudemo era di indole molto coraggiosa e aveva proprio un bel caratterino. Il confrontarsi con un orso della stazza di Bruno non lo impauriva affatto e col tempo diventò suo amico. Di lui Bruno apprezzava il fatto che non nutrisse paure nei suoi confronti, dote molto rara in chi lo incontrava.
L'orso rimirava l'immagine mille volte al giorno senza mai stancarsi. Quasi si sarebbe potuto dire che si stesse consumando gli occhi nell'intento tanto pazzo quanto romantico di ammirarla.
Certo, chi l'avesse vista avrebbe di sicuro compreso il perché.
Era davvero una creatura celestiale.
La tunica le modellava il corpo lasciandone trasparire le sembianze divine: il seno piccolo e sodo che si ergeva sul petto, l'ombelico che traspariva da sotto la veste, le pieghe dell'abito che si increspavano sui fianchi e che poi, formando delle grandi balze, nascondevano quasi del tutto le gambe, le grandi ali che spuntavano dalla schiena. Il petto che protendeva in avanti come la gamba destra, mentre quella sinistra rimaneva indietro, le ali, alte, in atto di volare, così come tutto il resto del corpo. Chi non ne sarebbe rimasto incantato?
Stava seduto lì, sulla spiaggia del mare di Hora, con in mano quel grande libro. Un libro: nient'altro. Ma quel disegno, quella pagina gli bastava.
Cosa pensasse non lo posso dire con certezza, anche perché la storia d'amore tra una divinità e un orso non è delle più semplici. Forse immaginava di incontrarla e semplicemente adorarla.
E sospirava.
- Adesso è ora di alzarti, non l'hai guardata abbastanza? Bruno, è un disegno… non esiste davvero... vieni con me, facciamoci un giro, chissà quanto miele c'è che ti aspetta, andiamo a cercarlo…
- Non adesso, tra un po'… - grugnì Bruno - lasciami ancora un istante…
- Va bene, ma poi non lamentarti con me se noti il pelo poco lucido o ti vedi dimagrito… se non mangi bene non puoi neanche lamentarti… - sentenziò il capriolo.
- …
- Vabbeh, a dopo allora... - e se ne andò.
La vita di Bruno non era proprio quel che si può definire semplice: i genitori lo avevano abbandonato in mare appena nato perché era tutto bianco ma, non si sa come, era approdato su un'isoletta poco distante.
Quando nacque, lo strano colore del piccolo colpì molto l'intera comunità, che lo interpretò come il frutto di un malocchio. Una maledizione dei rivali, gli orsi bianchi, che volevano dimostrare la loro propria superiorità e i formidabili poteri magici di cui erano dotati.
Dovete sapere che gli orsi bianchi e gli orsi bruni erano da sempre nemici. Erano divisi da consuetudini ancestrali contrapposte: gli uni erano carnivori e sanguinari, gli altri erano onnivori ma prevalentemente vegetariani, particolarmente ghiotti di radici e fungi e si cibavano di pesci solo in caso di necessità. Che da un orso bruno ne nascesse uno bianco, quindi, era un sacrilegio, una cosa che la comunità non poteva proprio accettare.
Non tutto andava contro Bruno, in realtà. Una leggenda, un'antica leggenda, raccontava di un antenato, un caso unico da generazioni e generazioni, nato bianco da genitori bruni. Nato bianco e coraggiosissimo: tanto da aver salvato, da solo, l'intera comunità da una terribile carestia. Ciononostante, gli orsi avevano interpretato la nascita di Bruno come un presagio infausto: per questo i suoi genitori erano stati costretti a sbarazzarsene. Adesso il poverino viveva tutto solo, lontano dai suoi simili. Certo, aveva la compagnia di Eudemo, ma ciò non bastava per farlo sentire soddisfatto. Fortunatamente, un giorno, per caso aveva trovato quel libro e da allora la sua vita era stata un po' più piacevole.
Seduto sulla riva a contemplare l'immagine, ogni tanto alzava gli occhi verso l'orizzonte e guardava il mare. D'un tratto vide in mezzo alle onde qualcosa di bianco che spuntava tra le onde. Si strofinò gli occhi: forse aveva visto male? Guardò nuovamente: a pelo d'acqua sembrava emergere qualcosa, ma non riusciva a capire cosa. Lasciò il libro sulla sabbia e si avvicinò all'acqua. Sembrava marmo.
- Marmo? - disse tra sé. Senza pensare, corse e si tuffò per cercare di portare a riva qualunque cosa vi fosse in acqua.
L'oggetto era pesante. Non lo identificò subito, ma appena i suoi occhi percepirono un'ala capì immediatamente di cosa si trattasse. Con tutte le sue forze, e con molta attenzione, lo trascinò a riva, badando bene di non danneggiarlo.
Dopo averlo portato in salvo sulla terra ferma si inginocchiò dinanzi al suo cospetto: era una statua raffigurante l'immagine che tanto amava. Di marmo e alta più di due metri. Restò in quella posizione per un tempo indefinito. Poi, all'improvviso, la statua prese vita e si rivolse all'orso:
- Bruno, sono venuta per aiutarti e esaudire le tue preghiere. Tieni questa pozione: servirà per riportare la prosperità nella tua terra natale. Devi sapere infatti che in quei luoghi, adesso, vi è una grande carestia e la tribù da cui provieni patisce grandi sofferenze. Usa questo: potrai riportare il benessere e loro ti accetteranno, ti considereranno loro salvatore.
Proferite queste parole la divinità porse all'orso un grande otre pieno del liquido misterioso. L'orso la guardò con rispetto e poi disse:
- Vi ringrazio celestiale creatura. Ma come posso arrivare alla terra che mi ha dato i natali? Non so dove sia.
La dea sorrise e indicò il mare: tra le onde fece capolino una tartaruga gigantesca che alzò una pinna in segno di saluto.
- Ti ci porterà Caretta - disse la dea - non te la ricordi? Eppure è lei che ti ha portato in questo luogo appena nato. I tuoi genitori ti affidarono al mare e lei ti raccolse.
L'orso guardò la grande tartaruga sforzandosi invano di riconoscerla. Poi si inchinò nuovamente ai piedi della dea con gli occhi pieni di lacrime di gioia e la ringraziò. Tuttavia gli rimaneva ancora sul volto un velo di tristezza.
- Non preoccuparti di Eudemo - disse senza bisogno di spiegazioni la divinità - potrai rivederlo tutte le volte che vorrai, Caretta ti ci porterà volentieri, ti considera come un figlio, in tutti questi anni ti ha sempre osservato dall'acqua assicurandosi che stessi bene. Anche quando sei venuto a raccogliere la mia statua in mare lei era qui vicino per intervenire in tuo soccorso qualora ne avessi avuto bisogno.
Una sensazione di estremo calore avvolse il cuore dell'orso. Non pensava di essere tanto amato: in tutti questi anni si era sentito molto solo. E invece c'era qualcuno che, da lontano, vegliava su di lui.
La meravigliosa creatura scomparve e l'orso andò a sedersi sulla schiena della maestosa tartaruga per compiere la missione che la dea gli aveva affidato e ricongiungersi con la tribù che lo aveva scacciato.
Bel racconto Leucò :)
RispondiEliminaGrazie per essere passata di qui, Calliope :)
RispondiEliminaSono lieta che ti sia piaciuto Calliope, grazie di essere passata di qui :)
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