L’ho scoperta quando sono arrivato a Palermo. Non è stata l’unica rivelazione, devo dire, ma la principale sì.
Non che le altre cose non mi interessino, ecco: in qualche modo mi hanno formato anche quelle. Ad esempio ho scoperto l’architettura: nascere e crescere in provincia, qui in Sicilia, significa conoscere il bello soltanto per sottrazione, in assenza di intervento umano. Significa presumere che le case non possano avere altre forme che una giustapposizione di parallelepipedi, accostati, sovrapposti, mescolati un po’ come si fa con i bastoncini di Shanghai. Qui, invece, in ogni palazzo si percepisce uno studio, un’idea, un pensiero che credevo inconcepibile: persino a casa mia, in questo palazzo squallido di via Corselli, nel cuore del Borgo Vecchio, gli edifici sono brutti, sì, ma non casuali. Non te ne accorgi, finché non ci vivi: vedere con gli occhi del turista Parigi, Londra o, che ne so, Budapest non ti fa scoprire l’architettura. La consideri un elemento dovuto, un benefit compreso nel costo del biglietto. Nient’altro che fumo negli occhi.
La seconda scoperta è legata alla prima. In centro, in via Libertà, ho capito che quello che chiamano il Sacco di Palermo, in fondo, è pura sopravvalutazione: il vero Sacco è stato fatto altrove, lontano dal capoluogo, dove il calcestruzzo indisturbato ha cancellato tutta una costa, l’ha stuprata e posseduta, l’ha espugnata senza soffermarsi troppo. La sensazione, per chi arriva dopo avere scoperto un ideale di bellezza, è che quei blocchi di cemento siano piovuti dal cielo, effetto del più pericoloso calo di pressione che il mondo ricordi. Ma, insomma, voglio farla breve. L’elenco è senza fine: potrei parlarvi dell’aggressività o, se volete, dell’improvvisa consapevolezza che l’accoglienza dei meridionali è niente più che un luogo comune senza basi, oppure del falso mito della pericolosità di Palermo, dove in realtà nessun quartiere è meno che sicuro se ci vivi. Persino qui, al Borgo Vecchio: niente scippi, niente rapine, niente borseggi come lo si dipinge. Anche allo Zen, credo, se ci vivi e non ti fai nemici non devi avere paura.
Però, ecco, la scoperta più interessante è stata la rabbia. L’apatia: nel mio mondo iperprotetto non la notavo. Non mi era concessa.
E dire che ero venuto qui, un anno fa, con tutte le migliori intenzioni. Con l’idea di raggiungere la felicità. Ero cresciuto sognandoli, questi anni: sognando l’indipendenza, una vita da studente, una casa per conto mio. Mi ero illuso: avevo letto e visto troppo, sulla vita da universitario. Su quelle vite intense, alla Andrea Pazienza, piene di ritmo e avvenimenti improbabili. Di cattive compagnie, di stuzzicanti novità, di negazione della noia. Oppure i film: non so se abbiate mai visto “E morì con un felafel in mano”, ma ecco, la mia idea era quella, un’esistenza densa, magari insoddisfatta, ma ricca. Traslochi, amori, sesso anche disperato.
E invece no. Se uno sceneggiatore, se uno scrittore narrasse la mia storia, il suo sarebbe un racconto in cui non succede nulla. Non studio, non lavoro. Come in una canzone: non guardo la tv, perché non ce l’ho. Resto qui, vago, lascio che le dispense che pure ho acquistato prendano polvere. Già, studiare: per fare cosa, poi? Per aprirmi la strada a un futuro da precario: senza un lavoro, senza un futuro, senza un obiettivo. Senza soldi, come oggi, ma anche senza tempo. Sfruttato, malpagato, magari commesso in un negozio oppure con uno di quei lavori strani, coi nomi in inglese e nessuna competenza richiesta se non la dimestichezza con le fotocopiatrici. L’alternativa è questa: affrontare la vita e aspettare che sia sera, che passi un altro giorno, che arrivi quello giusto. Aspettare che un tizio strafatto di eroina mi muoia sul divano di casa, ecco tutto. Un diversivo, il clinamen che spezza l’abitudine, fossero anche dei parallelepipedi di cemento che piovono dal cielo. Le grida dei passanti, il sangue per le strade, un’inutile ecatombe.
Eccola, la rabbia: l’idea che il mondo che ci hanno promesso da piccoli, dalle televisioni, altro non è che un universo inesistente. Che il dolce che ci hanno fatto assaggiare era solo l’anticamera dell’amaro, la premessa al fallimento. Giovanni, il mio coinquilino, sostiene che questa sia la bugia del secolo: siamo stati allevati al di sopra delle nostre possibilità, progettati per consumare senza potercelo permettere, e adesso che siamo qui, appunto senza soldi, la crisi di astinenza ci uccide. La scacciamo, in qualche modo: la pallina da tennis rimbalza contro un muro, sfiora un mobile orribile, rimbalza nelle mie mani. La lancio anch’io, alla rovescia, e Giovanni l’afferra. Aspettiamo.
Ma non succede niente, dicevo. Niente che sia degno di nota, niente che valga la pena di raccontare. Il picco dell’ultimo mese l’ho raggiunto oggi: passeggiavo, come al solito, o meglio mi trascinavo dalle parti del Politeama. Senza un obiettivo, o forse per dare un motivo all’ennesima lezione saltata: una giornata come le altre. In via Principe di Belmonte sono passato accanto a uno di quei locali carissimi, uno di quelli in cui non puoi permetterti di mettere piede se non vuoi finire i soldi, se non vuoi esporti alle proteste dei tuoi genitori e all’ennesima ramanzina di tuo padre sul tema “hai dato una sola materia in un anno” e “i soldi non crescono sotto gli alberi”. Lì è arrivata la folgorazione: c’era un pianoforte a coda, uno di quelli neri, quasi di cioccolato, e un pianista, in smoking, suonava la polacca in la bemolle maggiore di Chopin. Musica celestiale, il bello che si concretizza. Un istante piccolo, eppure meraviglioso. Un momento di insperato ottimismo.
Ero rinfrancato. Convinto che in fondo il mondo può anche essere bello, o almeno digeribile. Avevo raggiunto l’obiettivo: sono tornato a casa e lì, sulle scale, mi sono quasi messo a correre. Quando ho aperto la porta, però, ho capito che era solo un’illusione: ho capito che la realtà, la realtà della mia generazione, più del pianoforte erano quei muri sbrecciati, una pila di piatti da lavare, Enzo addormentato sul divano. Giovanni, nella sua stanza, le spalle fisse contro un muro a guardare quello di fronte a lui. Una pallina da tennis, in basso, vicino alla porta.
L’ho capito mentre la pallina andava sul letto di Giovanni e si rifiutava persino di rimbalzare: quel pianoforte, persino quel pianoforte, è il paradigma della mia generazione. L’idea che tutto ciò che è bello, tutto ciò che ci piace, ha l’unico difetto di costare. E che una sola cosa ci è negata: i soldi.
Allora resto qui. Da solo, con la mia rabbia. La vezzeggio, la coltivo. La celebro, quasi.
Un giorno esploderà. Forse in malattia. Forse in creatività. Forse in violenza.
Ma almeno sarà una svolta.
Sai scrivere in maniera strepitosa. Vedi la realtà con precisione chirurgica. Tanta amara saggezza. Ma mi sembra inopportuno, da così lontano, aggiungere altro. Solo l'auspicio che tu tenga conto di queste tue doti. Che forse ho descritto in modo sminuente.
RispondiEliminaTroppo buono, Adriano.
RispondiEliminaTengo a precisare una cosa: il protagonista del racconto, ovviamente e come in tutti quelli pubblicati da queste parti, non sono io. Diciamo che non ho più l'età. ^^
non succede nulla, e in quel nulla c'è il pieno di tutto. la scelta della polacca di chopin è azzeccatissima. complimenti!
RispondiEliminaHai ragione, non succede nulla.
RispondiEliminaE' già successo.
I complimenti sono un "must".
leggendo questo racconto la rabbia è venuta a me. hai saputo descrivere talmente bene l'apatia, la colpa è sempre degli altri, la colpa è del sistema... che mi è venuta voglia di strozzare il protagonista.
RispondiEliminaio sono di origini siciliane, un paio di anni fa sono stata a trovare mia cugina a catania. una città meravigliosa, una città che potrebbe campare sul turismo, ma che viene buttata alle ortiche. Ho discusso con dei ragazzi universitari e quasi li avrei strozzati tutti. A cominciare da mia cugina che ha la bellezza di 27 anni, sta ancora studiando e non sa cosa sia il mondo del lavoro. gente adulta che studia ancora e mantenuta dai genitori. genitori che si svenano pensando di dare un futuro migliore ai loro figli. le donne hanno la laurea per poi fare le casalinghe. non ci pensano neppure alla carriera. i ragazzi che dicono:"qui non puoi fare niente. qui c'è la mafia".
ma perché non si alza la testa? perché non si cerca di cambiare le cose? Ecco che chi è volenteroso, fa la valigia e scappa.
Riceverò un mucchio di insulti, ma questo è quello che ho visto e percepito io....
@Mr: grazie, è uno dei miei brani preferiti, ma non il preferito. In realtà avevo in mente la quarta di Mahler, ma col piano non c'entra niente e non mi sono sentito di riscrivere una partitura che già di suo è perfetta (né mi sembrava il caso di mettere per strada un'orchestra, seppur ridotta all'osso; e poi mi piaceva proprio l'immagine del pianista).
RispondiElimina@Webrunner: vossignoria è troppobbuono.
@Usagi: niente insulti, lo giuro, ma se posso proverò ad articolare il ragionamento. Innanzitutto la Sicilia, e te lo dice uno che proprio per non fuggire ha rinunciato ad almeno due occasioni valide, è una terra molto, troppo complessa perché possa essere compresa in una visita fugace. C'è la mafia, è vero, ma soprattutto c'è un sistema-Regione costruito per non funzionare, per assorbire risorse senza restituire che gocce di assistenzialismo (né l'azione del singolo può intaccarlo). In secondo luogo, io mi sento di difendere il protagonista: davvero è stato illuso, davvero è stato spogliato degli anticorpi, e di quell'illusione si è cibato. Naturale che adesso non abbia la forza.
Io credo che niente più della rabbia sia politica. Ma la politica, negli anni, si è ben guardata dall'analizzarla come fenomeno sociale. L'ha rifiutata, sistematicamente e con coscienza.
bravissimo silas, non riescoa credere che non sia autobiografico, almeno in parte, che tu non abbia scvatao nei tuoi ricordi nei ricordi di quelli che hai conosciuto. Io li ho conosciuti tutti i tuoi personaggi, enzo che dorme e giovanni nella sua stanza, la pila di piatti da lavare, anche quella è un personaggio, ha vita.ecco, dai vita alle cose morte.
RispondiEliminaIn un racconto breve tutta la lunga trafila di anni di studio senz'esami, di esami senza soddisfazione vera, di lauree senza lavoro, di lavoro senza futuro… dignità negata a gran voce! ;) Reale e triste.
RispondiElimina(No, certo, ady: ci sono ricordi molto vicini nel tempo; racconti di altri e miei; considerazioni, sensazioni, pensamenti).
RispondiEliminaGrazie, petrolio :)
Hai dimostrato come anche il 'niente' si può dipingere. E il quadro che hai dipinto è pieno dei colori della rabbia e dell'apatia che ne consegue.
RispondiEliminaPer essere 'vuoto', questo quadro è talmente pieno che straborda fuori dai confini palermitani, rappresenta tutta la Sicilia, rappresenta tutta l'Italia. Oggi.
Cambiando i nomi dei rioni descriverebbe bene ogni città dello stivale: in ognuna sono ormai rilevabili quel 'niente', quella rabbia e quella stessa apatia.
Per non parlare della mafia, che hai voglia che la trovi dappertutto. E se non appare la mafia, ci pensa la politica a colmare il vuoto.
(Grazie, gatto. Anche perché mi hai ricordato qual è il terzo argomento che volevo usare per rispondere a Usagi: nelle mie pretese, che per definizione sono sempre pretenziose, questa vicenda è ambientata in Sicilia solo perché mi è più facile raccontarne i luoghi e perché mi sono reso conto di non aver mai ambientato niente qui a Palermo. Credo insomma che possa essere esteso allo stato d'animo di una generazione, al di là dei luoghi)
RispondiEliminaQuesto racconto non parla solo della Sicilia. Questo racconto è universale. I complimenti non sono mai sprecati con te, te l'assicuro.
RispondiEliminaPer la prima volta da quando giro per blog ho sentito la necessità di leggere tutto ad alta voce.
RispondiEliminaHo letto stando attenta alla punteggiatura e quindi facendo le giuste pause.
Flannery, ci sei riuscito..
Quando sono arrivata a
"Allora resto qui. Da solo, con la mia rabbia. La vezzeggio, la coltivo. La celebro, quasi.
Un giorno esploderà. Forse in malattia. Forse in creatività. Forse in violenza.
Ma almeno sarà una svolta."
avevo gli occhi lucidi..
Questo, hai scritto, non è il tuo racconto preferito,io invece posso urlare che è il MIOOOOOO!
Almeno..fino ad oggi..
B R A V O ! :)
Ora, ti voglio dire una cosa, te la voglio dire, anzi te la dico: mi piace che nella tua bella prosa, asciutta, precisa, tu parli esattamente del mondo come lo fa il mio blog, incentrato su pezzi d'attualità. Ho letto qualche altro pezzo, giusto per capire, e sai si va di fretta a volte ma qui e necessario fermarsi perché ne vale la pena. Scrivo anch'io. Anche se nel mio blog sarà raro vedere questa cosa: qualche mio pezzo. Ti saluto con la certezza che tornerò a sostare con piacere su questa pagina
RispondiEliminaOh che bello! Dallo sguardo su Palermo, ai crucci di sto giovine che sbircia le crepe nella realtà sognata, alla tratteggiata convivenza di amici scazzati. (P.S. quello di ieri non l'ho capito mica, ma, lo so, lo so, lo rileggerò!)
RispondiEliminaL'architettura in cui viviamo... hai ragione, non la si osserva come quando siamo turisti.
RispondiEliminaUn bellissimo racconto di scoperte e riflessioni.
RispondiEliminaUn abbraccio
@Ale: Sì, ecco, era questa la mia intenzione (troppobbuono)
RispondiElimina@Grace: Signorina, non mi faccia arrossire :)
@Davide: Wow, grazie. Torna presto ^^
@Charlie: Grazie mille, cara ^^. Ma soprattutto: il tuo è il millesimo commento! Mi fa un enorme piacere che sia di una lettrice della prima ora ^^. Hai vinto Grace. Te la spedisco impacchettata subito dopo Natale.
@Eva: ^^ Questo, ecco, è un tratto autobiografico. Ci abituiamo alle case come agli odori familiari.
@Kylie: Grazie mille :) Un abbraccio a te.
Succede sempre qualcosa, anche quando sembra che non succeda nulla. Ma naturalmente tu questo lo sai bene.
RispondiEliminaComplimenti.
E' bello ricevere una Grace per Natale! Mi concentro per essere anche la duemillesima! Che io ci vojo pure Will!
RispondiElimina(grazie G9)
RispondiElimina@Charlie: hai un solo modo per esserne certa. Postare altri 999 commenti. Pronti? Via.
Ciao Silas, bravissimo, un bel racconto.
RispondiEliminaUn uomo un giorno mi ha raccontato che dopo aver studiato e lavorato una vita passa i suoi pomeriggi ad ascoltare quel piano in via Principe a Palermo, quel piano che evidentemente illude anche lui, non solo chi è giovane come l'autore del tuo racconto.
Grazie, Silvia.
RispondiEliminaLa tentazione è forte, comprensibile cedere.