Anche oggi un racconto a quattro mani. Stavolta con la partecipazione straordinaria di Leucò.
Fonte: mediapop via Mitì Vigliero |
Camilla se ne stava in un angolo. L’angolo suo, quello lontano dalla ringhiera, lontano dai vasi e tutto il resto. Era una forma di paura antica, quella che la tratteneva lì: che fosse vertigine o chissà che, quella non voleva sentire ragioni. Era la massima concessione che fosse disposta a farmi: non mi negava la sua compagnia mentre fumavo in balcone per evitare che il bambino iniziasse a tossire, ma no, non mi si avvicinava. Stavamo ai due angoli, come se avessimo litigato: lei vicino alla porta e io quaggiù, lontano dalla camera del pupo, anche se oggi il bambino stava dalla madre. Ora: non ci sarebbe niente di strano, a soffrire di vertigini. A una condizione: non ci sarebbe niente di strano a meno di essere Camilla. Cioè una gatta.
Va detto però che Camilla non era una gatta qualunque. Era la mia padrona di casa. No, non in senso figurato come avrete pensato voi: non voglio dire che, come tutti i gatti, Camilla si impossessava di tutto ciò che passava attraverso l’ingresso. Anzi: la gatta, bisogna dire, sapeva anche stare al posto suo, sapeva rispettare i miei spazi e da quando era nato Alessio aveva anche imparato che la sua stanza era off limits. Era una gatta educata, niente da dire. Via via le avevo fatto imparare le regole della convivenza, e chiunque abbia avuto un gatto sa che questa è un’impresa sostanzialmente impossibile. Camilla era insofferente, per questo, ma alla lunga si era abituata. Obbediva.
Povera gatta. Non aveva idea di essere lei, in realtà, a tenermi in pugno: la zia Magda, prima di morire, aveva lasciato a Camilla la nuda proprietà di questa casa, dandone a me l’usufrutto. Una strega, quella Magda: una strega contorta. Come condizione per l’eredità, aveva deciso che io dovessi prendermi cura della gatta vita natural durante. E lo sapeva, la zietta, che io li odiavo, i gatti. Comunque: la perfida zia aveva deciso che se la gatta fosse sopravvissuta al decimo compleanno io avrei ereditato la casa alla sua morte. Altrimenti l’immobile sarebbe passato per vent’anni al gattile “Le fusa” di via Tintoretto, al quale avrei dovuto pagare per l’affitto 500 euro al mese. Oppure avrei dovuto sloggiare. È per questo che alla morte di zia Magda ribattezzai la gatta Rossana col nome della mia ex-moglie: per avere riferimenti. Femmine che pretendono di avere il controllo della mia vita: Camilla.
A questo punto avrete capito la situazione: in pratica ero costretto a tenere in vita un animale che odiavo, a portarlo dal veterinario ogni settimana e cose del genere. Per fortuna, col tempo, il veterinario si era stabilito nell’appartamento sotto il mio, al secondo piano, e questo mi semplificava notevolmente la vita: in caso di emergenze, che vista la mia ipocondria trasmessa all’ereditiera erano continue, era sufficiente percorrere un paio di rampe di scale per invocare soccorsi. Poi, è naturale, facevo di tutto per proteggerla: ad esempio, quel giorno, non volevo che stesse con me in balcone, a rischio di prendere un malanno, ma non c’è verso di imporre a un gatto la posizione. Stava lì, mi fissava, e anche se la cacciavo sbattendo il piede a terra non faceva una piega.
Poi, all’improvviso, finalmente rientrò. La vidi mettersi lì e grattarsi, grattarsi, grattarsi. Leccarsi. Era anche pulita, Camilla: stava sempre a leccarsi. La vidi a pancia in su: pelo rosso come dominante, e poi, al centro della pancia, una chiazza bianca. Fu in quel momento che notai il fattaccio: la chiazza bianca era rossa, pure quella. Rosso sangue. Era come se la gatta avesse deciso di procurarsi una ferita, come se fosse diventata autolesionista. Come se stesse cercando il suicidio. La vedevo distintamente: leccare, come per ammorbidire la pelle, e poi grattare. Io non avevo una grande esperienza in materia felina, però non mi sembrava un comportamento granché lineare: non so voi, ma io non ho mai visto un gatto leccarsi fino a procurarsi il sangue. Insomma: spalancai la porta e corsi giù, deciso a piombare nella casa-studio del veterinario. Non mi preoccupai neanche di chiudere la porta, né tanto meno di procurarmi le chiavi: avete presente un’emergenza?
Il dottore De Tomaso fu garbato. Mi accolse nel suo studio nonostante fosse domenica mattina, si fece spiegare il problema e si convinse a venir su con me. Inutile: la porta era sbarrata. Casualità, direte voi: magari il vento. Ma il vento non mette fuori dalla porta una valigia con il necessario per sopravvivere qualche giorno.
Mi aveva cacciato. C’è una maledizione, in quel nome.
Be', complimenti ad entrambi! Questo è puro surrealismo...
RispondiEliminaAhhh!!!! Quindi mentre scrivevi a quattro mani con me, in realtà già mi stavi tradendo con Leucò?!?!? Marrano!!!!
RispondiEliminaPs: Leucò... Delle Camille e dei gatti col pelo rosso dominante non ci si dovrebbe mai fidare... :-)
RispondiEliminaSono fatto così: fedifrago.
RispondiElimina(Grazie, Ale ^^)
(Ehm. Messaggio per la Lettrice Silenziosa: si fa così, per scherzare).
RispondiEliminaVaniglia, in realtà a me la camilla dal pelo rosso ricorda un sapore di bambina, di quando all'asilo mi portavo la merendina del bulino bianco :)
RispondiEliminaBello assai! Quanto mi stanno gustando ste collaborazioni... ;)
RispondiEliminaCarina, però, a lasciare almeno la valigia..
RispondiEliminao.O
Mai fidarsi dei gatti rossi, se poi sono femmine!!
Lettrice silenziosa, assolutamente si faceva pour parlè... Non amo i Silas, mi piaccion di più gli Astutilli...
RispondiElimina@Vaniglia: solo io posso rivolgermi alla L.S.
RispondiElimina@Leucò: le Camille! Non ci avevo pensato :)
@Maraptica: ^^ grazie
@Paté: oh, no. Sempre fidarsi dei gatti rossi. Sulle Camille non so ^^
Eh Silas, ci credo.. io sono (stata) una mangiatrice di merendine mulino bianco praticamente imbattibile..
RispondiEliminaè un miracolo se adesso non mi ritrovo a portare la taglia dell' omino michelin.. :D
(questa NON è pubblicità occulta )
Con tutti 'sti racconti a 4 mano, comincio ad essere gelosa... ;-)
RispondiEliminaComunque concordo con paté d'animo, almeno la gatta è stata gentile a lasciare la valigia fuori dalla porta, invece di lanciargliela dalla finestra.... o forse, non lo ha fatto proprio perché soffriva di vertigini... quindi, la gatta non è gentile...
Quando vuoi, Usagi. Mandami un inizio e io proseguirò :)
RispondiElimina(ma non avevi un racconto quasi pronto?)
ehm... ecco... si, ce lo avevo, avevo intenzione di scriverlo.... fifififififi(onomatopea del fischiettio)
RispondiEliminasilas@ ah, basta un inizio? :)
RispondiEliminaio i gatti rossi li amo. Sarò del genere camilla, chi lo sa?
Certo, paté :) Su, su, manda ^^
RispondiElimina(Oh, anch'io amo i gatti rossi).
Gustoso e simpatico! Proprio un bel racconto da feste al caldo di un camino! (Camilla dal pelo rosso: così si fa!)
RispondiEliminaIo ho un cane di nome camilla...devo iniziare a preoccuparmi?
RispondiEliminaComunque visto che devo dire la mia...perchè ho deciso così: io odio i gatti, odio il rosso e odio il nome camilla...ma il racconto è stupendo comunque hahah:)
Come, scusa? Hai una cagnetta che si chiama Camilla ma odi quel nome?
RispondiElimina(@Charlie: grazie ^^)
eh non gliel'ho dato io...per questo odio quel nome ...io la volevo chiamare diversamente, ma lei già si era abituata a quel nome...quindi quel nome ormai mi è nemico hahaha:)
RispondiEliminaE tu ribattezzala, come fa il protagonista.
RispondiEliminasi ma ormai si gira quando la chiamo così ...non posso cambiarle nome da un giorno all'altro mi si rincretinisce...magari le faccio venire i disturbi della personalità..haha
RispondiElimina...bello, mi piace questa iniziativa.
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