giovedì 25 novembre 2010

Memoriale della facoltà

Dopo il successo del primo racconto, è il momento del ritorno. Con una storia quanto mai "sulla notizia", riecco a voi web runner.

Dopo due settimane di occupazione, la stanchezza si fa sentire per forza.
Josè gettò uno sguardo circolare alla grande aula della Facoltà di Lettere e Filosofia piena di giovani compagni e compagne. Guardò i visi dei suoi amici più cari, Bernardo, Ricardo, Alvaro, le facce tirate, gli occhi gonfi, i sorrisi forzati. Da due lunghe settimane avevano lanciato la loro battaglia contro un governo che stava precipitando il paese verso il baratro dei suoi giorni più bui, quelli che nonno Fernando gli aveva raccontato tante volte negli anni passati.
I giorni della dittatura.
Non si era ancora a quel punto, diceva ora il vecchio. E non sarebbe stato come allora. Ma di motivi di preoccupazione ce ne stanno da vendere, sosteneva. E la colpa è della mia generazione, figliolo. La gramigna non la si falcia, la si estirpa con tutta la radice. Perché ripropone le sue varianti quando pensi che il tuo campo abbia ricominciato a prosperare, nutrendosi della sua stessa acqua e della sua stessa luce.
Cominciò con l’intolleranza verso gli stranieri. La costruzione di famigerati “Centri di Permanenza Temporanea”. Poi arrivarono le ronde di privati cittadini, che cessarono quando l’esercito cominciò a girare per le strade.
Dall’estero cominciarono a guardare il paese con sospetto, le grandi democrazie non lo ritenevano più un alleato affidabile. Solo le autocrazie prendevano il governo sul serio, e nonno Fernando fece notare sgomento a Josè che eravamo rimasti gli unici ad avere rapporti di amicizia addirittura con quel fantoccio che fingeva di governare l’Italia.
L’Università e la ricerca furono colpite con la violenza di un tornado. Nelle facoltà di Scienze e Medicina furono ritirati tutti i fondi pubblici e la ricerca fu appaltata alle grandi multinazionali farmaceutiche. La facoltà di Ingegneria divenne terreno di caccia delle industrie delle armi.
E alla Facoltà di Lettere venne riservato il destino peggiore: dall’anno accademico seguente, il progetto del ministero prevedeva la sua trasformazione nella Facoltà di Storia della Patria e Teologia. La Chiesa giocava nascostamente un ruolo fondamentale in questo piano. Non fidarti mai dei preti, figliolo. Nonno Fernando era categorico. Nei momenti di crisi, si insinuano come anguille. L’ho sperimentato di persona tanti anni fa. Vedrai se non cercheranno di legare il paese con una fune, e di riportarlo a tempi che credevamo sepolti…
Corsi e ricorsi, pensava Josè tristemente.
Così, i ragazzi e le ragazze del collettivo di Lettere e Filosofia, armati solo di sacchi a pelo, cucine da campo e amore per la cultura, avevano occupato la facoltà, imitati dai colleghi di tutto il paese. Idealmente con loro, i rappresentanti delle opposizioni e di tutte le istanze democratiche.
Inizialmente, solo la polizia presidiava la Facoltà. Dopo qualche giorno fecero la loro comparsa le lugubri camionette dell’esercito, schierate in massa nella grande piazza dove si affacciava l’elegante edificio cinquecentesco.
Ma il governo prendeva tempo, non se la sentiva ancora di passare a un’azione che avrebbe potuto segnare un punto di non ritorno. Dal canto suo la Chiesa sembrava volersi proporre come mediatore con i ragazzi, mettendo in campo la sua grande magnanimità.
Josè caracollò esausto fino al bagno. Quella giornata estenuante stava per finire, finalmente. Si guardò a lungo allo specchio, e riconobbe di aver scorto in quei visi il suo aspetto stesso. Cazzo! Ci condurranno al punto di sbranarci fra di noi, pensò.
Josè si sciacquò il viso e tornò in aula dagli altri. Si affacciò alla finestra, e come al solito la vista di quei cassonetti verdi pieni di automi armati gli strinse lo stomaco. Guardò di nuovo i suoi compagni, e ricordò con timore ciò che era avvenuto poche ore prima.
Quel giorno, il Cardinale in persona era andato a far visita agli studenti. Alto, sulla sessantina, disinvolto, venne accolto con curiosità dai ragazzi, che non riuscivano ancora a vedere la Chiesa come corresponsabile dell’involuzione del paese. Del resto, molti di loro erano cattolici; degli altri, una discreta parte pensava che il loro paese non era l’Italia, e che la Chiesa fosse in quel caso un mero strumento del governo. La storia non gli ha insegnato niente, diceva nonno Fernando nella testa di Josè quando questi discuteva dell’argomento coi colleghi.
Era affascinante, il Cardinale. Un oratore nato. E gli studenti erano stanchi, e soggetti a subirne il carisma. Parlò qualche minuto senza dire niente di concreto, ma in molti scambiarono le sue frasi di circostanza per sincero interessamento. Mentre parlava, una luce obliqua proveniente da una delle finestre incideva sull’enorme anello al dito medio della mano destra del Cardinale. Josè non poteva distogliere gli occhi da quel simulacro del potere. Alla fine, mentre il Cardinale si accomiatava, in diversi si accodarono per baciargli l’anello.
Josè attese il suo turno. È un uomo come gli altri, pensava. E come gli altri lo tratterò. Al suo momento, ruotò di 90 gradi la mano prona del Cardinale e gliela strinse guardandolo dritto negli occhi. Il Cardinale ricambiò lo sguardo, e solo in un secondo tempo ricambiò la stretta. Rimasero così per qualche secondo. Il Cardinale fu il primo ad allentare la stretta, e a distogliere lo sguardo, dirigendosi verso la porta senza proferir verbo.
Josè, immobile e con la mano destra a mezz’aria, lo guardò uscire. Non pensava a niente, perché si sentiva la mano bruciare. Bruciare! Lentamente gli occhi andarono al palmo aperto, tremante. Suggestione, pensò, ma quel calore gli sembrava terribilmente concreto… in qualche minuto si trasformò in un formicolio, fino a svanire del tutto.
Quella sera, Josè col suo solito gruppo si distese nel suo sacco a pelo in una delle aule al primo piano, quella col televisore. Si girò da una parte e dall’altra per un po’, la faccia e l’anello del Cardinale gli si erano insinuati in testa, e non riusciva a prendere sonno. Pensò se non fosse il caso di andare a fare due passi, l’ingresso posteriore di notte non era mai sorvegliato e si poteva uscire e rientrare tranquillamente. Ma la grande stanchezza lo tratteneva.
All’improvviso si trovò all’aria aperta. Evidentemente aveva trovato la forza di uscire. Un buio impenetrabile lo circondava, tutte le luci cittadine erano spente. Che strano. Si diresse istintivamente, scendendo i ripidi vicoli della città alta, verso la grande porta quattrocentesca, unico residuo delle vecchie mura rimasto da quella parte della città. Oltrepassò la porta mentre iniziava ad albeggiare. Possibile che fosse così tardi? Si tastò il polso sinistro. Non aveva orologio.
Percorse ancora qualche decina di metri, l’inquietudine che gli montava dentro. La tenue luce dell’alba non mostrava gli isolati della città bassa che Josè si aspettava di vedere. Si trovava in aperta campagna, nessun dubbio era possibile. Si voltò: le mura demolite nel diciannovesimo secolo affiancavano la porta.
Gli occhi di Josè si sgranarono mentre fissava quello spettacolo inconcepibile. Guardò in basso, ma non fece in tempo a rendersi conto di cosa erano diventati i suoi indumenti da ventunesimo secolo, che il grido “Eccolo! Prendetelo!” e il rumore di una carrozza in rapido avvicinamento risuonarono a pochi metri da lui. Fu tutto estremamente rapido; in pochi secondi Josè si ritrovò prono sul fondo della carrozza, legato, imbavagliato e bendato. Sembrò durare un’ora a Josè quel viaggio di pochi minuti. Ogni scossone della carrozza era un colpo del naso sul fondo, ogni colpo era un fiotto di sangue che gli negava il respiro, il respiro mancato gli stordiva i pensieri, gli innalzava il terrore, che gli rilasciava gli sfinteri. Lo trascinarono fuori dalla carrozza, gli tolsero il bavaglio. La stazione eretta e un paio di respiri profondi lo rinfrancarono un po’.
Entrarono in un edificio e scesero diverse rampe di alti gradini di pietra, l’umidità e il freddo penetrarono rapidamente nelle ossa di Josè. Lo slegarono e gli tolsero la benda. Josè ci mise qualche secondo ad abituarsi all’oscurità di quell’angusto corridoio illuminato solo da poche candele. Due uomini incappucciati lo conducevano. Passarono davanti a una cella chiusa da pesanti sbarre. “Lasciali perdere, domani bruceranno a beneficio del popolo”, disse uno degli incappucciati.
Josè guardò, sette uomini stavano addossati in uno spazio angusto anche per quattro, le barbe lunghe, gli sguardi vuoti. Quello più a destra sembrò familiare a Josè. Gli mancava la mano sinistra. Josè si lasciò spingere via sgomento, il terrore gli impediva di rendersi conto che il moncone era cicatrizzato da anni.
Lo condussero in fondo a quel lugubre corridoio e attraversarono una soglia che introduceva un inferno dimenticato sulla terra.
La sala di tortura era un enorme stanzone quadrato, col soffitto a volta. Josè fu condotto al centro, dove stava una tavola inclinata a 45 gradi affiancata da un armadio privo di ante e stipato di strumenti di ferro. Addossati a una parete, due grandi bracieri, l’uno ripieno di brace, l’altro che emanava una viva fiamma.
I sensi di Josè erano sconvolti, travolti da un’inconcepibile miscuglio di urla laceranti, odori di decomposizione della carne e dell’anima, viste intollerabili ad occhi umani. La lingua gli si rattrappì in bocca, prima di rivoltarsi scossa dai conati.
In uno degli angoli della sala, di fronte all’entrata, quattro uomini sorvegliavano gli effetti della culla di giuda su un disgraziato giunto ormai alla fine delle sue sofferenze. Nell’altro angolo si stava consumando l’epilogo di qualcosa coinvolgente un velo e un’immensa quantità d’acqua, quando la porta si aprì.
L’anello fu la prima cosa che Josè vide.
Il Cardinale avanzò con calma studiata verso il centro della sala, gettando un breve sguardo verso gli angoli. Sulle sue labbra si poteva indovinare un debole sorriso compiaciuto. “Bene, amico mio. Mi auguro che lo spettacolo sia stato di tuo gusto”.
I suoi occhi magnetici erano due fari puntati in quelli stanchi, svuotati di Josè.
“Siete strani voi eretici, sai? Sembrate sempre pensare che la Santa Madre Chiesa sia giunta alle soglie del diciassettesimo secolo senza avere la capacità di schiacciare l’eresia come una mosca fastidiosa”. Gli occhi di Josè ebbero un guizzo. “Oh, so cosa vorresti dire. Che non possiamo distruggervi tutti. Lo so bene, non temere. Se io potessi, farei l’unica cosa seria possibile: estirperei la gramigna con tutta la radice. Ma non è ancora tempo. Intanto, usiamo da par nostro la falce”.
Le labbra di Josè fecero un debole tentativo di aprirsi. “Risparmia il fiato, ti servirà. Sai quando si avvicinerà quel tempo? Quando voi eretici inizierete a darci fiducia. A conferirci un’aura di rispettabilità. Quando direte che è giusto collaborare con noi. Sarà il suicidio delle vostre idee, perché noi non cambieremo mai…”. Il Cardinale lanciò un ultimo sguardo, limpido e diretto, negli occhi di Josè. Si voltò, con lui aveva evidentemente finito. Si rivolse ai due uomini incappucciati, col tono sicuro di chi sa che verrà prontamente ubbidito. “Iniziate dalla mano destra”.
Non se lo fecero dire due volte. Afferrarono Josè e lo legarono sulla tavola inclinata, con la testa in basso perché non perdesse i sensi. Le tenaglie furono rapidamente arroventate, le unghie dall’indice al mignolo saltarono a una a una, altrettanti spilloni furono infissi nella carne viva. La testa di Josè esplose in un uragano di dolore, di angoscia, di terrore. Fu la volta delle due asticelle metalliche. Il pollice si adattava perfettamente in mezzo. Mentre uno degli incappucciati iniziava a stringere le viti, la sala iniziò a ruotare. E ruotare. E ruotare...
Fradicio di sudore, Josè si rizzò a sedere. Il sole era già alto e intorno a lui i compagni già fremevano di attività. Li guardò a lungo inebetito, cercando di far passare quel tremore inarrestabile che lo scuoteva.
Quando si fu calmato, il televisore reclamò l’attenzione dei suoi sensi.
Lui era lì. Un’innocua intervista.
Josè si lanciò sul telecomando. Ma dovette arrestarsi inorridito. “Non riesco a prenderlo! Non riesco a usare la mano destra!”.
Le sue urla attirarono l’attenzione di tutti. Il suo viso cereo era spaventoso. Ricardo, l’amico fraterno, lo scrutò con curiosità. “Per forza, ci hai dormito con tutto il peso del corpo sopra”, gli disse in tono bonario, nel suo sorriso c’erano tutti i dieci anni d’amicizia.
Le pupille di Josè viaggiarono rapidamente fra quelle dell’amico, la sua mano solcata dalle guizzanti formiche di un circolo che si andava normalizzando e l’immagine sullo schermo.
Alla sua vista un ghigno di disgusto gli comparve sul volto. “Ah, ho capito! Eccolo, il ghigno del mangiapreti!”. Il sorriso di Ricardo si allargò ancora. “Ma guarda, Josè, secondo me stavolta esageri. Sai che la penso come te ma… beh, stavolta forse sarebbe giusto dare un po’ di fiducia alla Chiesa, e iniziare a collaborare con loro…”.
Josè guardò l’amico con occhi distanti, da un altro mondo.
Un lungo, straziante brivido gli corse lungo la schiena...

9 commenti:

  1. Da un incubo metaletterario al mondo reale, e te la cavi alla grande in tutti e due i casi! Sei un bravo corridore!

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  2. bello, quando hai descritto le torture avrei voluto girare la testa dall'altra parte..

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  3. Palettina col voto: 8!

    Bella variante onirica di Non ci resta che piangere (perfetto sia come titolo di film che come commento al nostro oggi, sull'orlo del medioevo prossimo venturo...)

    p.s. Storia della Patria e Teologia: ripensandoci, la nostra sqhuola è già così, a partire dalle elementari...

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  4. @Leucò: a difesa di web runner posso dire che quando me l'ha mandato ha specificato che il racconto era un po' crudo...

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  5. No, ma il fatto che la descrizione sia realistica e che renda bene l'idea va tutto a suo favore..vuol dire che è scritto bene :)

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  6. la lingua mi si è rattrappita in bocca, non sapevo potesse succedere.

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  7. Ale e Zio, grazie infinite. Poi da quanto so la "palettina" dello zio non è così generosa (o sbaglio?) (non mi monto la testa eh)

    @leuco': a silas non avevo detto che per scorciarlo avevo tolto la maggior parte delle descrizioni delle torture :)

    @ady, succede, succede. ;)

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  8. Ecco, ho seguito tutto fino ai titoli di coda..
    Ora posso alzarmi dalla poltroncina..
    Mi è rimasto dell'amaro in bocca..forse perchè sono facilmente impressionabile.
    Esco dal cinema carica di soddisfazione, potrò dire a quelli del prossimo spettacolo: - Andate tranquilli..bellissmo film..BELLISSIMO, DAVVERO! :)

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  9. Ecco... Grace... e ora come faccio a ringraziarti abbastanza?!
    :)

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