Il racconto di oggi è molto lungo. Ve lo propongo in due puntate (la seconda domattina).
“Beeeeeeeeeeeeep!”. Il Centro di controllo si animò: “Pensiero critico nel settore D09”, spiegava in tutte e sedici le lingue del mondo il monitor centrale. Settore D09: più o meno l’area compresa fra il 23° e il 24° meridiano est lungo il 38° parallelo nord. Dannati greci, sempre loro.
C’era una volta una bambina di nome Anna. Era una fanciulla dotata di ogni virtù: bella come il sole, abile ricamatrice ed educata come ogni madre avrebbe voluto vedere crescere la propria figlia, aveva una voce melodiosa con la quale sapeva cantare e far di conto. Era l’unica erede del più grande commerciante di stoffe del paese, e questo di certo l’aiutava nell’essere bella: una volta sfoggiava un abito di seta rossa che ne esaltava il colorito, un’altra ne indossava uno d’organza azzurra che faceva da cornice ai begli occhi, un’altra ancora era un vestito di lino bianco a farne risaltare il candore di giglio.
Una fila di automi si mosse ordinata verso l’uscita della grande sala centrale, lasciando solo i robot-sentinella a guardia del computer. Il primo dei soldati meccanici mi sfilò davanti, quasi a sfiorarmi, e io avrei voluto maledire Platone, Socrate e tutti quegli altri, se solo avessi potuto: anni di progetti, di silenzioso studio rischiavano di essere compromessi per l’imprudenza della colonna di Atene, per la loro incapacità di raggirare il microchip di controllo. Un istante, e la grande Cpu che controllava il pianeta poteva individuarti ovunque tu fossi, specialmente se ti trovavi nel cuore del sistema. Senza neanche bisogno di guardarci negli occhi ci immobilizzammo, ma col passare dei primi istanti ci rendemmo conto che non tutto il male veniva per nuocere: i robot-cacciatori sembravano essere scollegati dal mondo, sembravano incapaci di percepire quel che accadeva intorno a loro. Sembravano dover rispondere solo all’input che avevano appena ricevuto: uscire dalla sala, imbarcarsi sulle vedette e catturare i pensatori, oppure forse proteggere la sala centrale da un’aggressione esterna. Il risultato era addirittura un beneficio: grazie al diversivo greco i robot rimasti a guardia del computer erano molti di meno. Dio era con noi.
Anna crebbe, e venne infine per lei il giorno in cui avrebbe dovuto trovar marito. I genitori decisero di dare una festa per l’evento: nella casa, molto sfarzosa eppure non appariscente, si presentarono i cavalieri più prestanti di tutto il circondario, pronti a ogni sfida per conquistare il cuore della fanciulla più bella della regione. Era, la sfida che li attendeva, l’unico modo per sfuggire alla profezia della strega Sigrún: quando Anna era ancora in fasce, la fattucchiera era stata rifiutata dal padre, e si era vendicata negandogli la gioia d’un erede maschio e condannando la bambina alla tristezza perenne e a un futuro al fianco di un marito malvagio. “Sarà il più empio essere che mai abbia popolato la terra – disse la strega – e non passerà giorno senza che egli mostri la cinghia alla fanciulla e ai bambini da lei partoriti”.
La Resistenza aveva trascorso gli ultimi anni a studiare un piano infallibile per liberare il pianeta. Studiato si fa per dire: da quando il ventiduesimo Governo universale era stato spodestato dal golpe Alexander, circa 130 anni prima, la possibilità di pensare era stata inibita e le letture erano state messe al bando. Un microchip inserito nel cervello di tutti coloro che avevano superato il sesto anno di età segnalava l’attività problematica alla grande Cpu, che provvedeva a seconda della gravità della violazione: i più piccoli e i pensieri meno pericolosi venivano sanzionati con scariche elettriche “educative”, ma per gli adulti sorpresi a fare pensieri sconvenienti la pena senza appello era una morte atroce. Non dovevo pensarci: l’idea, se messa a fuoco, avrebbe potuto mandare a monte tutto.
Solo una cosa avrebbe potuto spezzare l’incantesimo: un petalo d’un fiore rarissimo, il giglio nero, del quale esisteva un unico esemplare lungo lo sterminato altopiano del Grovio. Un fiore che si diceva miracoloso: secondo la leggenda era capace di ridare la vita ai morti, di curare ogni male e di spezzare il più tenace degli incantesimi. Perché il petalo facesse effetto, aveva detto la strega, Anna avrebbe dovuto ricavarne un infuso, e berlo subito prima di baciare il suo cavaliere. Solo così sarebbe stato possibile sottrarsi alla maledizione di Sigrún.
Il risultato, però, era stato addirittura controproducente per il Governo militare universale. Col tempo, la Resistenza aveva scoperto che l’unica lettura consentita, le favole, sterilizzava l’azione del microchip: generazioni su generazioni di compagni militanti si erano abituati a intendersi con un solo sguardo, senza neanche pensare a quel che bisognava fare. Allo stesso tempo noi soli ci eravamo evoluti, e così avevamo imparato a improvvisare favole, a inventarle mentre cercavamo una strada che ci portasse al centro del sistema. Vuoto pneumatico, vuoto nel cervello: immagini di fiabe scorrevano nelle nostre menti.
Quando la serata volgeva al termine, il padre di Anna chiamò a sé l’attenzione: “Signori, voi sapete che oggi mia figlia sceglierà il suo sposo. Ebbene, non sarà il Caso, ma la vostra abilità a darvi questa gioia: esiste, sull’altopiano del Grovio, un solo esemplare d’un fiore chiamato giglio nero. Chi riuscirà a portarne qui un petalo avrà la mano di Anna”.
Appena l’ultimo automa fu uscito dalla stanza ci avvicinammo al computer centrale: mentre alle mie spalle Emilie, l’unica di noi che avesse un’arma da fuoco, copriva l’ingresso, Dmitrij, alla mia sinistra, si sarebbe occupato di disattivare il sistema di allarme, Elizabeth, alla mia destra, avrebbe tenuto sotto controllo i robot-sentinella e io avrei dovuto riavviare il sistema per il tempo strettamente necessario a farlo a pezzi con la mia ascia. Non sarebbe stato possibile distruggerlo senza prima riavviarlo: il sistema aveva un meccanismo di controllo che al contatto faceva esplodere un potentissimo ordigno capace di eliminare tutte le forme di vita nel raggio di quattrocento metri, ma sorprendentemente la protezione era controllata da un software, e quindi era attiva solo con il computer acceso. Il primo passaggio andò per il verso giusto: Dmitrij spruzzò il gas criogeno della sua bomboletta contro il sistema di allarme. Attendemmo senza neanche respirare, ma la tensione durò soltanto pochi secondi: alla fine l’allarme reagì con “bzzz” di sconfitta.
I cavalieri partirono per l’altopiano, ciascuno certo di potere sconfiggere gli altri. Attraversarono la foresta, e qui morirono in dieci: le fiere si cibarono di loro, facendo strage dei loro corpi valorosi prima che gli altri potessero ucciderle e farne banchetto. Poi fu la volta della montagna, dove altri sedici lasciarono la vita: sette caddero cercando di scalarla più in fretta degli altri, tre morirono di freddo e gli ultimi sei furono vinti dalla fame. All’altopiano arrivarono solo quattro superstiti: Ettore, il muscoloso cavaliere venuto da nord, Aligi, il valente guerriero arrivato da est, Vilfredo, il saggio condottiero partito da sud, e Guiscardo, l’astuto stratega giunto da ovest.
Toccava a me. Con il cuore a battere forte dentro la bocca mi avvicinai alla tastiera di controllo, elusi la verifica di sicurezza e creai un percorso abbreviato alla centrale di comando. “Sei sicuro di voler riavviare il sistema?”, domandò sedici volte il monitor centrale. Sì, che lo volevo: ero lì, ad un passo dalla Liberazione, e non potevo chiedere altro. In un istante una schermata nera si sostituì al software del Governo: stavamo per entrare nella storia. Guardai Dmitrij con soddisfazione, ma fu quel che vidi quando mi girai verso Elizabeth a farmi piombare nel terrore.
[1-continua]
(to be continued...a domani, allora :) )
RispondiEliminaAvrei voluto avere anch'io una voce melodiosa per cantare le tabelline!
RispondiEliminaBene, ripasso domani..sempre se ne ho voglia!
Che bella!!! non vedo l'ora di leggere la seconda parte...
RispondiEliminaEvvai! Solo ventisei morti per ora. E tremo al pensiero della strage nella seconda parte! :P
RispondiElimina(io tifo per Guiscardo, sappilo)
...E poi??!
RispondiEliminaA parte la tua indubbia vena creativa, spero sia un esorcismo per le sorti nostre a venire!
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