“Questo non è un racconto”, mi fa. Certo che non lo è: questa è la fine.
L'inizio risale a una settimana fa. E a me, da sempre, piacciono gli inizi: la fine, nella realtà, non somiglia mai a quella dei libri. Mi fanno rabbia, addirittura, questi finali lieti: conoscete qualcuno che incarni la frase “e vissero felici e contenti”? No, ci scommetto. Solo i finali tristi accadono davvero, ma anche quelli sono una minoranza. La gran parte degli epiloghi è così così, di un grigio indistinguibile: né bene né male, si tira a campare. Ma, insomma, vi sto annoiando. Io non sono bravo a raccontare le storie.
L'inizio è una scala di noce. Una stanza sterminata, ariosa, al culmine di un incrocio di gradini di marmo che ricorda una litografia di Escher. In cima alla scala lei. Bellissima. Riccioli neri, carnagione scura, un paio di labbra carnose, di quelle che ti vien voglia di succhiare. Occhi castani, ma d'una profondità inaudita. Bassa, in fondo, ma ben fatta: seni né troppo piccoli né troppo grandi, fianchi lievi che terminano in un culo dalle rotondità solenni, mani piccole e senza la minima imperfezione. Di fronte a lei uno scaffale. Da sinistra a destra: Queneau, Quoist, Radiguet, Raspail, Rassinier, Rebatet, Redeker. La fine della Q, l'inizio della R.
“Ti piace la letteratura francese?”, mi fa. No che non mi piace, tesoro, ma per te sono disposto a tutto. “Non la conosco abbastanza - le dico -. Ho letto qualcosa di Victor Hugo, ma, ecco, mi manca il resto”. “Hugo? Ma allora dobbiamo spostarci nell'altra stanza, diciannovesimo secolo. O vuoi provare il ventesimo?”. Altro che ventesimo, cara mia. Interrompe i miei pensieri: “Il ventesimo è molto più ricco”. Tira fuori un libro: copertina bianca con una foto in basso, qualcosa di rosso immerso nel grigio. Capto una parola del titolo: “Metrò”.
Lo prendo. Avevo ragione: si intitola “Zazie nel metrò”. Raymond Queneau. Mi tocca leggere questo francese sconosciuto. “Prezioso consiglio, grazie. Ma se mi piace dovrai darmene altri”. Occhi negli occhi: sono un seduttore, io. “Mi chiamo Paolo”. Non sai cosa ti farei. “Tu?”. La bibliotecaria sorride: “Valentina, piacere”. Prendo la sua mano e la stringo. “Sei nuovo qui?”.
Una settimana. Otto giorni, per l'esattezza. Valentina non è una che la dà facilmente. Adesso è lì, sul mio letto: la pelle scura risalta contro il bianco delle lenzuola, un perizoma sul cuscino. Fuma, struggente. Sensuale. “Vian è un personaggio unico: scrittore, sì, ma anche jazzista, autore di canzoni, ingegnere. E poi polemista: un polemista nato. Pensa che per aggirare la censura si firmò a lungo con un eteronimo americano, Vernon Sullivan”. La mano sul comodino. “Questo è il suo capolavoro”. Copertina rossa, stavolta: una casa gialla, un omino rosa. “'La schiuma dei giorni' contiene tutta la letteratura francese del Novecento: l'esistenzialismo e la critica all'esistenzialismo, un po' di satira sociale, una storia d'amore, la sperimentazione linguistica che hai già visto in Queneau. Tutto”. Non riesco a fermarla: è entusiasta.
Le accarezzo il seno. Inutile diversivo: la domanda arriva. “Cosa cerchi in me?”. Qualche scopata. Qualche risata. Magari anche una storia, ecco, non escludo niente, ma smettila di costringermi a leggere un libro alla settimana. “La stabilità”. Non mi crede. “E tu?”. Mi guarda: “Farti conoscere la letteratura francese”. Cazzo. “Vederti entusiasta”. Beh, questo obiettivo l'hai raggiunto cinque minuti fa. “Farti innamorare di me”. Certo. “Tu sei speciale - mi sorprendo a dirle -, l'amore arriverà”. Valentina ha un sussulto. Che cosa volevi, bambolina, che fossi già innamorato di te?
Si alza. “Beh, almeno è stata una scopata soddisfacente”. Certo che sì. “Hai avuto quel che volevi. Io no, ma non sono rimasta a bocca asciutta”. Prende il libro. “Questo me lo riporto, tanto non lo leggerai”. Che vuol dire? “E poi se tornassi mi deluderesti”. Mi sta lasciando? Glielo chiedo. “Cosa significa?”. “Significa che i tuoi obiettivi e i miei sono differenti. Significa che bene, abbiamo scopato, ci siamo divertiti entrambi. Che non ci vedremo più”. La fisso: non mi aspettavo che finisse tanto in fretta. “Mi lasci così?”, le domando. Già: “Sì, questa storia finisce così. Qui non ci sono buoni né cattivi”. Il cattivo: quella parte è mia. “Questo non è un racconto”, mi fa. Certo che non lo è: questa è la fine. La fine è sempre così così.
L'inizio risale a una settimana fa. E a me, da sempre, piacciono gli inizi: la fine, nella realtà, non somiglia mai a quella dei libri. Mi fanno rabbia, addirittura, questi finali lieti: conoscete qualcuno che incarni la frase “e vissero felici e contenti”? No, ci scommetto. Solo i finali tristi accadono davvero, ma anche quelli sono una minoranza. La gran parte degli epiloghi è così così, di un grigio indistinguibile: né bene né male, si tira a campare. Ma, insomma, vi sto annoiando. Io non sono bravo a raccontare le storie.
L'inizio è una scala di noce. Una stanza sterminata, ariosa, al culmine di un incrocio di gradini di marmo che ricorda una litografia di Escher. In cima alla scala lei. Bellissima. Riccioli neri, carnagione scura, un paio di labbra carnose, di quelle che ti vien voglia di succhiare. Occhi castani, ma d'una profondità inaudita. Bassa, in fondo, ma ben fatta: seni né troppo piccoli né troppo grandi, fianchi lievi che terminano in un culo dalle rotondità solenni, mani piccole e senza la minima imperfezione. Di fronte a lei uno scaffale. Da sinistra a destra: Queneau, Quoist, Radiguet, Raspail, Rassinier, Rebatet, Redeker. La fine della Q, l'inizio della R.
“Ti piace la letteratura francese?”, mi fa. No che non mi piace, tesoro, ma per te sono disposto a tutto. “Non la conosco abbastanza - le dico -. Ho letto qualcosa di Victor Hugo, ma, ecco, mi manca il resto”. “Hugo? Ma allora dobbiamo spostarci nell'altra stanza, diciannovesimo secolo. O vuoi provare il ventesimo?”. Altro che ventesimo, cara mia. Interrompe i miei pensieri: “Il ventesimo è molto più ricco”. Tira fuori un libro: copertina bianca con una foto in basso, qualcosa di rosso immerso nel grigio. Capto una parola del titolo: “Metrò”.
Lo prendo. Avevo ragione: si intitola “Zazie nel metrò”. Raymond Queneau. Mi tocca leggere questo francese sconosciuto. “Prezioso consiglio, grazie. Ma se mi piace dovrai darmene altri”. Occhi negli occhi: sono un seduttore, io. “Mi chiamo Paolo”. Non sai cosa ti farei. “Tu?”. La bibliotecaria sorride: “Valentina, piacere”. Prendo la sua mano e la stringo. “Sei nuovo qui?”.
Una settimana. Otto giorni, per l'esattezza. Valentina non è una che la dà facilmente. Adesso è lì, sul mio letto: la pelle scura risalta contro il bianco delle lenzuola, un perizoma sul cuscino. Fuma, struggente. Sensuale. “Vian è un personaggio unico: scrittore, sì, ma anche jazzista, autore di canzoni, ingegnere. E poi polemista: un polemista nato. Pensa che per aggirare la censura si firmò a lungo con un eteronimo americano, Vernon Sullivan”. La mano sul comodino. “Questo è il suo capolavoro”. Copertina rossa, stavolta: una casa gialla, un omino rosa. “'La schiuma dei giorni' contiene tutta la letteratura francese del Novecento: l'esistenzialismo e la critica all'esistenzialismo, un po' di satira sociale, una storia d'amore, la sperimentazione linguistica che hai già visto in Queneau. Tutto”. Non riesco a fermarla: è entusiasta.
Le accarezzo il seno. Inutile diversivo: la domanda arriva. “Cosa cerchi in me?”. Qualche scopata. Qualche risata. Magari anche una storia, ecco, non escludo niente, ma smettila di costringermi a leggere un libro alla settimana. “La stabilità”. Non mi crede. “E tu?”. Mi guarda: “Farti conoscere la letteratura francese”. Cazzo. “Vederti entusiasta”. Beh, questo obiettivo l'hai raggiunto cinque minuti fa. “Farti innamorare di me”. Certo. “Tu sei speciale - mi sorprendo a dirle -, l'amore arriverà”. Valentina ha un sussulto. Che cosa volevi, bambolina, che fossi già innamorato di te?
Si alza. “Beh, almeno è stata una scopata soddisfacente”. Certo che sì. “Hai avuto quel che volevi. Io no, ma non sono rimasta a bocca asciutta”. Prende il libro. “Questo me lo riporto, tanto non lo leggerai”. Che vuol dire? “E poi se tornassi mi deluderesti”. Mi sta lasciando? Glielo chiedo. “Cosa significa?”. “Significa che i tuoi obiettivi e i miei sono differenti. Significa che bene, abbiamo scopato, ci siamo divertiti entrambi. Che non ci vedremo più”. La fisso: non mi aspettavo che finisse tanto in fretta. “Mi lasci così?”, le domando. Già: “Sì, questa storia finisce così. Qui non ci sono buoni né cattivi”. Il cattivo: quella parte è mia. “Questo non è un racconto”, mi fa. Certo che non lo è: questa è la fine. La fine è sempre così così.
ps rivolto ai più attenti: per questo week-end vi avevo promesso il mio racconto migliore, ma non sono ancora riuscito a completarlo. Sarà per la settimana prossima, spero.
Ma chi l'ha detto che deve per forza esserci un finale?
RispondiEliminahttp://bp1.blogger.com/_XCsCFn4x290/R4AQEVxSkRI/AAAAAAAABBU/zudqKUFucPU/s400/aurin.bmp
Quindi lei era attratta dalle "copertine" dei libri mentre a lui interessava finire sotto le "coperte". Eh sì, il solito dilemma. Come dire: un libro già... LETTO.
RispondiEliminaIl racconto miliore, Silas, è quello che diranno di noi gli altri :)
RispondiEliminaIl recondito desiderio di uno scrittore è quello di diventare lui protagonista nei racconti degli altri scrittori.
Inconsciamente ma, secondo il mio parere, molto invece consapevolmente nella stragrande maggioranze dei casi, (tatticismo intellettuale), disseminiamo indizi, ampliamo i dubbi, ci nascondiamo strategicamente lasciando credere ad un oscuro segreto per nutrire quella leggenda che, di sicuro, noi un giorno diventeremo.
Lo scrittore, quello vero, è un guitto, un azzeccagarbugli, un illusionista, un baro, un bugiardo, un testimone inaffidabile, un politicamente scorretto.
Questi metodi praticati da un ragioniere, da un insegnante, da un dottore, da una casalinga e via dicendo, che l'elenco è assai lungo, sarebbero giustamente etichetabbili come esecrabili ma, sfugge a questa regola lo scrittore al quale viene riconosciuta la piena facoltà di mischiare, confondere, stravolgere, ripristinare, incartocciare, nascondere, ritrovare, mistificare......
Più è esperto nell'arte dell'imbroglio più la sua stella sarà luminosa :)
Note sul tuo racconto: Valentina, al contrario di quello che Paolo crede, ha avuto tantissimi uomini, tutti quelli presenti sugli scaffali della sua biblioteca.
Ed una donna che ha avuto così tanto è difficile d'accontentare, sopratutto da quelli come Paolo che, banalmente dall'incipit precipitano istantanei verso il finale :)
Ottimo racconto, Silas
Un bacio
Marilena
così ci crei della aspettative silas... sono curiosa di leggere il tuo racconto più bello.
RispondiEliminaper quanto riguarda il presente racconto, 'sta Valentina mi sta un po' antipatica. non si può mica pretendere che agli altri piacciano le cose che piacciono a noi. poi era un poco noiosa...
Gli incontri intimi quando finiscono ancora prima di cominciare, lasciano sempre l'amaro in bocca. questa storia riesce a dare questa sensazione....
Valentina può essere anche antipatica, ma è così 'intellettualmente' preparata che mi ha fatto venire voglia di andare in biblioteca.
RispondiEliminaMi piacerebbe approfondire la letteratura francese, ma, se utile, anche quella lappone, fiamminga, eschimese...
Indirizzo completo, grazie...
in effetti anche in me finito il racconto è nata una certa voglia di approfondire la letteratura francese:) zazie sulla metro lo segno tra i libri da prendere in futuro...comunque bel racconto:) mi sono piaciuti tantissimo entrambi i personaggi, valentina compresa, a me non è apparsa antipatica...sperava di aver trovato una sorta di affinità elettiva e non appena si è resa conto che essa esisteva solo nella sua mente ha preso e se ne è andata...io la appoggio:)
RispondiEliminaper la cronaca...non ci si comporta così:) non è che puoi tirare la pietra e nascondere la mano tanto facilmente, il tuo racconto migliore l'avevi promesso, non vedevo l'ora di leggerlo...per stavolta passi ma che non capiti più:)
Se il racconto migliore deve ancora arrivare, gli antipasti sono ottimi!
RispondiEliminaBello questo che non è un racconto. Niente affatto così così il finale, che rimanda direttamente all'inizio.
RispondiEliminaDa leggere ascoltando "L'offerta musicale" di Bach.
mmmhh, troppo diversi quei due!
RispondiEliminabella analisi di amaranta.
E' quello che si chiama Intellectual Love Talking?
RispondiEliminaA me piacciono gli uomini colti, mi affascinano..ma se un intellettuale da strapazzosessuale stesse nudo nel mio letto a fumare un toscanello, con un boxer tripla sgommata sulle lenzuola a parlarmi di letteratura francese..RAGGIUNGEREI di sicuro la PACE DEI SENSI!
Valentina? Ma vedi di annattenaffanHugoooooooo! ;)
Ottimo!!!
RispondiElimina(Grazie per i commenti, ragazzi, e scusate per l'assenza, ma al momento sono un po' incasinato. Grazie anche a quanti di voi mi hanno mandato racconti negli ultimi giorni: li leggerò appena possibile. Infine: presto passerò anche dai vostri blog, un po' di pazienza e perdonatemi).
RispondiElimina@Vaniglia: ma non eri tu quella che invocava finali lieti?
@g9: il punto è che lui, alla fine, è stato scoperto. Ed è rimasto scoperto.
@Amaranta: i tuoi commenti mi piaccion'assai, eh? (Niente gelosie, voi altri: mi piacciono anche quelli di tutti voi, ma adesso sto rispondendo a Marilena. Perché state curiosando qui?) Sì, sono d'accordo: il racconto migliore è quello che piace di più, ma - in fondo - anche chi scrive è parte del proprio pubblico. Ecco: al primo lettore dei miei racconti, io stesso, piace molto quello lì. In quanto agli indizi, beh, tu te la cavi abbastanza bene. (Io, per parte mia, cerco di fare la parte del baro. Ma ho poca memoria, e i bari così si fanno incastrare). Comunque, ecco, credo che questa contaminazione fra narratori e personaggi un giorno potrebbe vedere la luce. Chissà. Sulla storia: sì, Paolo ha sottovalutato Valentina. Ma fa parte del suo carattere: è leggero, e pretende che tutti gli altri lo siano. Però, ecco, credo sia una persona a suo modo dotata di gusto.
@gatto: rilascerò in forma privata ^^
@Br: vedi? L'obiettivo era proprio questo, creare l'attesa. Ora però magari il racconto fa schifo e voi rimarrete delusi. E comunque smettila di difendere Valentina: non è facendo il mollicone che riuscirai a portartela a letto. (Sì, "Zazie nel metrò" è uno dei miei libri preferiti. Anche "La schiuma dei giorni", nonostante Valentina abbia argomentato pomposamente, facendolo sembrare un libro noioso, è un romanzo dal ritmo eccezionale. Ve li consiglio entrambi. Con un'avvertenza: Valentina is not included).
@Adriano ed Ernest: grazie, ragazzi ^^
@webrunner: ottimo consiglio :)
@mr: beh, dicono che gli opposti s'attraggano. Ma no, evidentemente non è così
@Grace: beh, però al femminile (in particolare senza la tripla sgommata) fa un altro effetto, te lo giuro
sgamato subito:P
RispondiEliminail racconto mi è piaciuto, per me una finale deve esserci sempre. la fine è la fine, può nascondere un domani ma per oggi deve essere la fine...condivido tutto ciò che ha scritto marilena, splendida l'immagine dello scrittore azzeccagarbugli, io sono solo una azzeccagarbugli in tutti i sensi della parola...ma chissà, chissà domani...
RispondiEliminaChe montato...
RispondiElimina@Br: ^^
RispondiElimina@Ady: aspettiamo domani
@Grace: ?
Ah no scusa non avevo capito...
RispondiEliminaCerto...boh..forse al femminile fa un bell'effetto..
ritiro il montato :)
Cacchio, la Valentina è un pò stronza, lui il tipico maschio, ma Zazie nel metrò di Queneau, oggi, è la seconda volta che ne leggo. Domani vado a prenderlo!
RispondiElimina(ma come, mi smonti così i personaggi? Una è stronza, l'altro stereotipato. Un fallimento :p)
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaCarino il racconto,
RispondiEliminama porta pazienza, per ora sto cercando di ambientarmi sul blog:-)
@Ferruccio: ti è concesso tutto il tempo che ti serve ^^.
RispondiElimina@Emix: ci vuol costanza.
(non mi ero accorta di aver in mano il cacciavite...adesso te li rimonto! Valentina è una con le palle, lui è un uomo alla ricerca del suo posto nel mondo) :P
RispondiEliminaMa Zazie lo prendo o no?
Certo. Gran bel libro.
RispondiElimina(Ok, così va meglio :p)
Mi sa che... Mi sa... Proprio.
RispondiEliminaNel bene e nel male c'è stato uno scambio e, a volte, è meglio che rimanga solo tale. Fugace. Veloce. Lasci il dubbio del se e l'aspettativa del ma. A me i finali grigi mettono una rabbia... ho sempre estremamente bisogno del bianco o del nero :)
RispondiEliminaBella e colta.
RispondiEliminaGli uomini ci vogliono così, no?
E secondo me, sotto sotto, ci desiderano anche stronze. Baci.
@Vaniglia: ehm... ricapitolando?
RispondiElimina@Maraptica: a me no, i finali intermedi a me piacciono. Mi piacciono proprio i dubbi del se e le aspettative del ma :)
@Eva: sì, ma non dirlo in giro ;)
"Zazie sulla metrò" solo per questo 100 punti!
RispondiEliminacmq il racconto è bello ma mi ha lasciato un leggero senso di amarezza, non so se è per il fatto che lei si sia concessa ad un uomo così viscido o...per altro...cmq ogni volta mi stupisci di più!
Eh, non si può dire... Per tornare ai finali invece... Secondo me non c'è nulla di più lieto di un non finale...
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