"Il padre dei racconti", come i più attenti avranno notato, è un progetto collaborativo: non solo Silas scriverà su queste pagine. Oggi è la volta di Usagi.
Risate fragorose provenivano fuori dalla finestra. Alcune voci sovrastavano le altre. Battute sconce, allusive ed un altro scroscio di risate ad accompagnarle.
Solo voci maschili.
Lei stava seduta sul bordo del letto, lo sguardo fisso sulla porta con la paura che si sarebbe aperta da un momento all’altro per fare entrare lui. Le orecchie erano attente ad ogni minima parola, fruscìo o rumore.
La stanza era semibuia. Il sole stava ormai tramontando.
La finestra che dava sul cortile era spalancata. Le risate provenivano dabbasso. Non aveva il coraggio di alzarsi per andare a guardare quegli uomini, ubriachi, che ridevano di lei e facevano allusioni su quello che a breve sarebbe avvenuto nella camera spoglia in cui si trovava.
Mosse gli occhi, si guardò intorno. Una passa panca, una sedia, un piccolo letto ricoperto di paglia, un catino ed una brocca ricolma d’acqua. Questo era il misero arredamento della camera del padrone della bottega.
Chiuse gli occhi per fermare le lacrime.
Un mese prima suo padre era accorso festante, entrando in casa senza badare ai convenevoli. Lei stava cucendo accanto alla madre. Il suo genitore cominciò a gridare: “ha acconsentito, ha acconsento!”.
Sua madre si portò una mano alla bocca per reprimere un gridolino di gioia.
Lei sapeva il significato di quelle parole. Le si strinse lo stomaco. Aveva tanto pregato perché non fossero mai pronunciate. Perché non era stata ascoltata?
Calde lacrime le stavano salendo agli occhi, ma lei decise di non piangere, di non dire nulla.
Nulla disse.
Adesso si trovava in quella camera da letto. Si era sposata quel pomeriggio. Era stata preparata per l’occasione. Una candita camicia di lino le cadeva morbida sul corpo giovane e generoso.
Mai si era soffermata a guardare il proprio corpo. Abbassò lo sguardo. Perché avrebbe dovuto concedersi a quell’uomo? Era necessario?
Le serve, sua madre e sua sorella l’aveva istruita a dovere. Non essere ritrosa, non essere timida, sorridi, sii generosa, sii ubbidiente, non rifiutarti, non protestare.
Che senso avevano quelle parole?
L’unica cosa che aveva capito e che la terrorizzava e disgustava in egual misura era il fatto che quel vecchio bavoso presto l’avrebbe spogliata e l’avrebbe toccata.
Il pensiero le fece salire un conato di vomito.
Come potevano essere così felici, i suoi genitori, di averla data in sposa ad un vecchio decrepito? Ad un uomo dallo sguardo duro, dalle mani callose e dalla pelle raggrinzita?
Un vecchio ubriacone e bavoso. Così aveva sentito definirlo da chi lo conosceva bene.
Il suo pensiero andò alla schiena soda e muscolosa dell’apprendista falegname di suo padre. Lo aveva scorto una volta, attraverso una fessura, mentre si sciacquava il viso. Nudo al di sopra della cintola.
Da allora desiderò accarezzare quella schiena.
Invece? Invece stava seduta li, sul bordo del letto ad aspettare suo marito. Un uomo benestante, un uomo che non le avrebbe mai fatto patire la fame, ma vecchio e disgustoso.
Guardò fuori dalla finestra.
Avrebbe potuto fuggire.
L’idea della fuga la fece sussultare. Poteva essere una buona idea. Fissò il cielo che scorgeva dalla piccola finestra.
Cosa c’era al di la delle mura che circondavano la città?
Cosa avrebbe trovato?
Avrebbe potuto aprire la porta, scendere le scale e fuggire lontana da quel vecchio.
Le sue gambe non si mossero.
Continuava a stare seduta sul bordo del letto.
Il suo pensiero a quello che a breve sarebbe accaduto. A quell’uomo che l’avrebbe spogliata e toccata con le mani ruvide e callose.
Un altro conato di vomito.
Guardò nuovamente fuori dalla finestra. Il sole era tramontato.
Avrebbe potuto fuggire con il favore delle tenebre.
Continuava a non muoversi. Il suo respiro accelerò. Il cuore sembrava dovesse esploderle nel petto. Le mani le sudavano. Ma non si muoveva.
Risate dietro la porta. Si spalancò.
Il suo vecchio marito stava sulla soglia, le lanciò una sguardo lascivo e sbatté l’uscio alle sue spalle.
Ora erano soli nella stanza spoglia e quasi buia. Il vecchio tossì, facendo salire il catarro su per la gola per poi sputarlo ai piedi del letto. Tossì ancora. Passò la mano sotto il naso e si pulì il dorso sul bordo della calzamaglia.
Le si avvicinò, la guardò ancora una volta con desiderio, ma crollò sul letto accanto a lei.
Lei non si mosse, lui cominciò a russare sonoramente.
Si girò a guardare il corpo inerte del marito disteso sul pagliericcio. Una piccola bava gli scendeva dalla bocca aperta. Quell’uomo emanava un forte odore di sudore mischiato con il vino.
Un altro conato di vomito.
Si girò verso la finestra. Poteva fuggire. Cosa l’attendeva fuori dalle mura della città? Un fugace pensiero le ricordò la schiena dell’apprendista.
Tornò a guardare il marito.
Seduta sul bordo del letto, chiuse gli occhi e liberò le lacrime.
Cominciò a pregare di morire quella stessa notte. Sarebbe stata ascoltata?
Solo voci maschili.
Lei stava seduta sul bordo del letto, lo sguardo fisso sulla porta con la paura che si sarebbe aperta da un momento all’altro per fare entrare lui. Le orecchie erano attente ad ogni minima parola, fruscìo o rumore.
La stanza era semibuia. Il sole stava ormai tramontando.
La finestra che dava sul cortile era spalancata. Le risate provenivano dabbasso. Non aveva il coraggio di alzarsi per andare a guardare quegli uomini, ubriachi, che ridevano di lei e facevano allusioni su quello che a breve sarebbe avvenuto nella camera spoglia in cui si trovava.
Mosse gli occhi, si guardò intorno. Una passa panca, una sedia, un piccolo letto ricoperto di paglia, un catino ed una brocca ricolma d’acqua. Questo era il misero arredamento della camera del padrone della bottega.
Chiuse gli occhi per fermare le lacrime.
Un mese prima suo padre era accorso festante, entrando in casa senza badare ai convenevoli. Lei stava cucendo accanto alla madre. Il suo genitore cominciò a gridare: “ha acconsentito, ha acconsento!”.
Sua madre si portò una mano alla bocca per reprimere un gridolino di gioia.
Lei sapeva il significato di quelle parole. Le si strinse lo stomaco. Aveva tanto pregato perché non fossero mai pronunciate. Perché non era stata ascoltata?
Calde lacrime le stavano salendo agli occhi, ma lei decise di non piangere, di non dire nulla.
Nulla disse.
Adesso si trovava in quella camera da letto. Si era sposata quel pomeriggio. Era stata preparata per l’occasione. Una candita camicia di lino le cadeva morbida sul corpo giovane e generoso.
Mai si era soffermata a guardare il proprio corpo. Abbassò lo sguardo. Perché avrebbe dovuto concedersi a quell’uomo? Era necessario?
Le serve, sua madre e sua sorella l’aveva istruita a dovere. Non essere ritrosa, non essere timida, sorridi, sii generosa, sii ubbidiente, non rifiutarti, non protestare.
Che senso avevano quelle parole?
L’unica cosa che aveva capito e che la terrorizzava e disgustava in egual misura era il fatto che quel vecchio bavoso presto l’avrebbe spogliata e l’avrebbe toccata.
Il pensiero le fece salire un conato di vomito.
Come potevano essere così felici, i suoi genitori, di averla data in sposa ad un vecchio decrepito? Ad un uomo dallo sguardo duro, dalle mani callose e dalla pelle raggrinzita?
Un vecchio ubriacone e bavoso. Così aveva sentito definirlo da chi lo conosceva bene.
Il suo pensiero andò alla schiena soda e muscolosa dell’apprendista falegname di suo padre. Lo aveva scorto una volta, attraverso una fessura, mentre si sciacquava il viso. Nudo al di sopra della cintola.
Da allora desiderò accarezzare quella schiena.
Invece? Invece stava seduta li, sul bordo del letto ad aspettare suo marito. Un uomo benestante, un uomo che non le avrebbe mai fatto patire la fame, ma vecchio e disgustoso.
Guardò fuori dalla finestra.
Avrebbe potuto fuggire.
L’idea della fuga la fece sussultare. Poteva essere una buona idea. Fissò il cielo che scorgeva dalla piccola finestra.
Cosa c’era al di la delle mura che circondavano la città?
Cosa avrebbe trovato?
Avrebbe potuto aprire la porta, scendere le scale e fuggire lontana da quel vecchio.
Le sue gambe non si mossero.
Continuava a stare seduta sul bordo del letto.
Il suo pensiero a quello che a breve sarebbe accaduto. A quell’uomo che l’avrebbe spogliata e toccata con le mani ruvide e callose.
Un altro conato di vomito.
Guardò nuovamente fuori dalla finestra. Il sole era tramontato.
Avrebbe potuto fuggire con il favore delle tenebre.
Continuava a non muoversi. Il suo respiro accelerò. Il cuore sembrava dovesse esploderle nel petto. Le mani le sudavano. Ma non si muoveva.
Risate dietro la porta. Si spalancò.
Il suo vecchio marito stava sulla soglia, le lanciò una sguardo lascivo e sbatté l’uscio alle sue spalle.
Ora erano soli nella stanza spoglia e quasi buia. Il vecchio tossì, facendo salire il catarro su per la gola per poi sputarlo ai piedi del letto. Tossì ancora. Passò la mano sotto il naso e si pulì il dorso sul bordo della calzamaglia.
Le si avvicinò, la guardò ancora una volta con desiderio, ma crollò sul letto accanto a lei.
Lei non si mosse, lui cominciò a russare sonoramente.
Si girò a guardare il corpo inerte del marito disteso sul pagliericcio. Una piccola bava gli scendeva dalla bocca aperta. Quell’uomo emanava un forte odore di sudore mischiato con il vino.
Un altro conato di vomito.
Si girò verso la finestra. Poteva fuggire. Cosa l’attendeva fuori dalle mura della città? Un fugace pensiero le ricordò la schiena dell’apprendista.
Tornò a guardare il marito.
Seduta sul bordo del letto, chiuse gli occhi e liberò le lacrime.
Cominciò a pregare di morire quella stessa notte. Sarebbe stata ascoltata?
Se penso a quante donne si siano veramente trovate in quella situazione mi prende male... ... ...
RispondiEliminaComunque è davvero un racconto splendido Usagi!!!
che esordio tosto !
RispondiEliminaGrazie dei complimenti ragazzi...
RispondiEliminaa volte capita che nei romanzi, la protagonista scappi veramente ed allora una tira un sospiro di sollievo. mi sono sempre chiesta come avrei reagito io se fossi stata costretta a sposarmi un uomo orrendo. sarei scappata? avrei scavalcato il muro di cinta della mia città per trovare la libertà? avrei accettato senza combattere? allora è nato il racconto. sono felice di essere nata nel XX secolo e di poter scegliere...
Uaz! Che racconto difficile da gestire alle 21.24 di sera. Mi piace che non sia fuggita. Che sia rimasta ad affrontare la paura, lo schifo e le possibilità di farcela senza scappare. Bello.
RispondiEliminaEsordio con il botto! Collaborazione più che proficua...
RispondiEliminaMa fanno schifo sti racconti, bastaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
RispondiEliminaCaro anonimo, non sei costretto a leggerli. La rete è piena di cose che troverai più interessanti.
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