lunedì 27 settembre 2010

La Grande Madre del Mondo

“Sfranght”. No, aspetta: “Stanght”. O forse “shtenght”. Insomma, qualunque fosse il rumore, dieci chili d'acciaio mi pinzavano il collo.
Anche la versione 3.0 di Covadrix era un fallimento. Niente a che vedere con la 2.0 o con la 2.1, certo: almeno stavolta non c'era stata fuoriuscita di liquidi radioattivi, non erano stati generati organismi metallici con altissima capacità di riproduzione, ma il problema di base non era stato risolto, visto che al solo tentativo di penetrarla la Grande Madre del Mondo si difendeva come poteva. IAA, l'avevano battezzata: intelligenza artificiale antistupro. Lo stesso meccanismo che fa serrare le cosce a una vergine, che la fa urlare nei vicoli e lottare con una forza mai vista. Di acciaio, però.
Ma lo stupro era roba vecchia. Roba da preistoria. Da quando la bomba di quarta generazione era esplosa nessuno tentava più di violentare una donna. Inutile: la capacità sessuale di tutti gli abitanti del mondo era stata distrutta per sempre, il solo approccio uomo-donna era un calvario, l'attività della penetrazione stessa era stata resa altamente dolorosa. Dieci chili di metallo sul collo, in confronto, erano una manna dal cielo: niente poteva reggere il paragone con quegli spilli d'acciaio che ti fendevano il membro all'inizio dell'amplesso, niente poteva essere anche solo accostato alle lacerazioni genitali femminili provocate dagli acidi collegati all'orgasmo. Solo il sesso orale era possibile, ma, col tempo, era diventato desueto: era come se il fine ultimo dell'eros, la procreazione, si fosse riappropriato di tutti noi, rendendoci noiose pratiche un tempo piacevoli. Gli anni – e i soldi – spesi a sperimentare tecniche contraccettive, in un istante, erano stati resi inutili.
Spettava a me salvare il mondo. Rendere di nuovo possibile la procreazione usando una macchina e, certo, anche divertirmi un po'. Avevo provato a risolvere il problema disattivando il Nucleo di Controllo Erettile, ma con tutta evidenza non aveva funzionato: al momento di montarla Covadrix aveva reagito spingendomi contro una pinza d'acciaio che non sapevo esistesse, inchiodandomi al pavimento e iniziando a stringere. Fu a quel punto che mi si avvicinò Xyblon: con un bip-bip mi segnalò un'altra partenogenesi, e in un istante da lui nacquero tre esserini zompettanti, tre Xyblonini tali e quali a lui ma più piccoli. Anche questo rendeva tutto complicato: il laboratorio era ingombro di ferraglia semovente, e nella condizione in cui mi trovavo non potevo far altro che assistere impotente.
Provai a catturare uno dei tre nuovi nati. Lo afferrai per il collo, lo lanciai contro il controller di Covadrix e sperai. Sperai bene: la risposta fu una specie di miagolio metallico, un rumore simile al pianto di un bambino. La macchina, alla fine, si arrese, gemendo e urlando proprio come una donna stuprata. Cercai di zittirla in tutti i modi, di svincolarmi dal suo abbraccio di metallo. Troppo tardi: l'allarme irradiava tutto l'edificio, sirene ululanti amplificavano il grido di Covadrix, i passi dei militari invadevano il corridoio. Eccoli: gente armata di tutto punto, adesso, occupava il laboratorio metro per metro. “Anche questo non va bene”, disse uno di loro.
“Anche questo non va bene”. Ecco: un fallimento. “Anche questo non va bene”, rispose un altro. Che schifo. Avrei preferito sentire “complimenti” prima di essere disattivato.

8 commenti:

  1. Ma dai... E questo da dove t'è uscito?!?!? E' semplicemente splendido e quant'è vero che non lo è, se solo si potesse lo sarebbe!

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  2. Uh, che ansia. E che scoramento. E che cacchio! la disattivazione no!

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  3. La disattivazione non si discute. La seconda legge della robotica parla chiaro.

    E sì, certo, che ansia.

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  4. ma è un racconto degno di Philip K. Dick !

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  5. Uno che in vita vide un solo suo libro diventare famoso: Confessioni di un artista di merda.

    Mah, spero meglio.

    (Mi fai un grande complimento, che non penso di meritare. Grazie ^^)

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