- Diego, mi serve una firma.
- Non rompere, mamma, ché oggi non c'è scuola.
- Scusa?
L'ufficio è pieno di libri. Libri belli, pieni di storia. Una biblioteca enorme.
Ma questa non è la mia stanza. A pensarci io non mi chiamo neanche Diego, le mie mani non sono così grandi e la mia bocca al risveglio non sa di menta. Non è mia mamma, la bionda che mi guarda, non l'ho mai vista. Non è male, ma non so chi sia. “È l'ordinanza di chiusura al traffico del Foro Italico per la visita del papa. Una firma qui e non ci pensiamo più”, mi fa.
La guardo. Vorrei chiederle come si chiama, che ci faccio qui e perché devo decidere io sulle sorti del papa. Sto al gioco: scarabocchio un “Diego” e un cognome a caso sul foglio, mi alzo dalla poltrona marrone e mi guardo intorno. Apro la porta: una sala incantevole mi si svela, una sala col pavimento di legno e gli specchi alle pareti, fuori un giardino fresco e le papere. Non corro allo specchio, perché forse ho intuito qual è il problema. Alla fine mi guardo. Lo sapevo.
Ricapitolo: ieri sera sono tornato a casa dopo la partita, mi sono messo al computer, ho scritto su Facebook che Pastore è il mio signore e poi sono andato a dormire. Dov'è l'errore? Oggi non c'era scuola, e infatti scuola non ce n'è. Però non so come sono arrivato qui, non so se sia uno scherzo o cos'altro. Decido: è un sogno.
Scendo. “Ciao, Diego”. “Ciao”. Mi si avvicina uno: “Quindi Gianfranco è tornato”. Abbozzo: “Prima o poi doveva tornare”. “Ora che si fa?”. Già, che si fa? Non lo so neanch'io. Lo guardo interrogativo, un suggerimento arriverà. “Gli diamo le Attività produttive?”. Ma sì, diamogliele. “Oppure il Centro storico”. Già, bell'enigma: cosa dare a Gianfranco, chiunque sia? Rispondo alzando le spalle e quello sorride: ha capito chissà che.
“Vieni con me”, mi fa un altro. Lo seguo, mi porta in una stanza alta. Sono rilassato: questo sogno finirà. “Ti senti smarrito, eh?”. Annuisco? Annuisco. “Capita a tutti, di mattina”. Ma no che non capita. Prendi ieri mattina: sveglia alle sette, doccia e caffelatte, un'occhiata allo zaino e poi a scuola. Interrogazione d'italiano alla prima ora, mica c'è da essere smarriti. O meglio: certo che ero smarrito, ma mica come oggi. La Romeo mi ha dato sei e mezzo, segno che poi non è andata così male.
“Ogni mattina c'è uno come te. Cioè, al tuo posto. Domani finirà”. Ha l'alito che puzza di sigaro, ma forse sa cosa succede. “Come finirà?”. “Finirà com'è iniziata, dormendo. Ma non devi farlo mai sapere a nessuno”. Mi guarda, ammicca: mi mostra un tesserino. “Altrimenti ti finisce male”. Poi inizia, e sembra un interrogatorio:
- Come ti chiami?
- Santoro Francesco.
- Dove abiti?
- Via del Levriere.
- Età?
- 17.
- Studente?
Appunta tutto con una matita smozzicata. Faccio di sì con la testa, e intanto guardo l'agenda: è piena di pagine vissute.
- Cosa succede?
- Succede che ogni mattina qualcuno si sveglia in quella stanza. A volte dura un paio di giorni, ma quasi sempre uno solo. Piano piano ti abituerai.
Si apre la porta. È una donna bionda, ma non quella che mi ha svegliato. È più anziana.
- Donatella ti seguirà. Ti guiderà. Fidati di lei.
Mi fiderò. Dev'essere divertente, in fondo, essere Diego Cammarata.
Mi piace! (:
RispondiEliminaL'hai visto: "Essere John Malkovich"?
RispondiEliminaSe non l'hai visto dovresti... http://cinema1.altervista.org/_altervista_ht/l/Essere%20John%20Malkovich.jpg
Grazie per la "Bella penna" :-)
RispondiEliminaVisto. Ma mi sa che al povero Francesco Santoro finisce peggio.
RispondiElimina(Dovere. Una bella penna è una bella penna).
I libri nell'ufficio hanno solo una funzione di soprammobili, suppongo...
RispondiEliminaUhm... temo di sì. Temo che li abbia trovati lì.
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