mercoledì 12 gennaio 2011

Tre storie - Rivelazioni tardive

Terzo racconto della serie (qui il primo, qui il secondo), per non spezzare la quale sono costretto a rinviare a domani la nuova puntata della saga di errebi.
 
- Sono incinta.
- No, dico: è meraviglioso, Stefania. Meraviglioso. Lorenzo è uno che non perde tempo.
- Dici?
- No, dico: vi siete sposati un mese fa.
- È tuo.

Stefania la conosco da sempre. Era la ragazza del secondo banco a sinistra, la prima volta che l’ho vista: capelli biondi lunghissimi, naso all’insù, un cono di luce intorno a lei. La bambina più bella della scuola: già alle elementari tutti facevano la fila per corteggiarla, e io non ero da meno. Lei, in compenso, non si degnava di concedermi uno sguardo che fosse uno, almeno fino al mio decimo compleanno. Fu a quella festa che mi parlò per la prima volta: mi feci forza, le chiesi di ballare con me e lei non si poté sottrarre. Al festeggiato non si dice di no. Quel giorno fu l’inizio, ma anche la penultima volta che Stefania mi disse di sì.
Non che siano mancate le occasioni: tutt’altro. Alle medie, qualche anno dopo, diventò la mia compagna di banco, la mia metà indivisibile. Non era quello che volevo, naturalmente: quel che chiedevo era annusare il profumo dei suoi capelli, guardarla in controluce durante le lezioni, disegnare il suo profilo contro la finestra aperta, fantasticare su di noi. Fantasie caste: quel che col tempo avevo cominciato a immaginare sulle altre non era applicabile a lei. Stefania abitava in un luogo intangibile che con gli anni avrei imparato a chiamare iperuranio, un luogo che per l’appunto non dovevo violare. Lo compresi a mie spese, qualche anno dopo.
Quel giorno me lo ricordo come se fosse ieri: io, imbranato, alla fine di una festa. Avevo bevuto più di quanto fossi in grado di reggere, per trovare le energie mentali per affrontarla. Ma fu un fiasco, un fiasco clamoroso. Non avevo mai avuto una ragazza così complessa, non sapevo come governarla, ma soprattutto avevo la testa piena di quelle scemenze lì, di quell’idea iperuranica di Stefania. Decisi che non l’avrei baciata, che non avrei fatto il seduttore. Scelsi la carta del galantuomo, una linea decisamente rétro: mi dichiarai. Avevo provato per giorni e giorni le parole giuste, l’argomento che avrebbe dovuto convincerla, ma naturalmente risultò troppo lungo, come discorso. Noioso, persino. Mi disse qualcosa di standard, “preferisco non distruggere la nostra meravigliosa amicizia”, ma ovviamente entrambi sapevamo che Stefania stava decretando la fine del nostro rapporto. Vomitai, quella sera, come per espellere dal mio corpo quel momento.
Avevamo sbagliato, quando pensavamo che il nostro rapporto finisse lì. È vero, in un primo momento ci allontanammo, anche perché io non ero capace di sopportare che lei frequentasse qualcun altro. Ma col tempo, con gli anni, ci riavvicinammo: ci sentivamo ogni tanto, e ciascuno dei due imparò a rispettare gli spazi dell’altro. La “meravigliosa amicizia” proseguì per qualche anno, ma anche quella volta il tempio che avevamo costruito per il nostro rapporto fu squarciato da un passo falso. Suo, questa volta: alla festa di laurea di Matilde, la nostra compagna di scuola secchiona, lontano dagli sguardi di Lorenzo e della mia ragazza appoggiò le labbra contro le mie. L’allontanai, a quel punto: forse perché non volevo riportare indietro l’orologio del tempo, forse per assenza di coraggio, o forse perché aspettavo da sempre che l’occasione di una vendetta mi fosse offerta. Perché, meschinamente, volevo che capisse cosa si prova, nell’essere respinti dall’anima che si ritiene gemella.
Ci allontanammo di nuovo, ovviamente. Mi richiamò soltanto per invitarmi al suo matrimonio, ma poi volle anche confidarsi alla vigilia delle nozze. La scena è facile da ricordare, anche perché parliamo di due mesi fa: il cucinino di casa sua, il caffé sui fornelli. Io che riesco a farle la domanda che non sono mai riuscito a formulare per esteso: “Sei felice, Stefania? Sei felice con Lorenzo?”.
Il buio. Il silenzio. Nessuna risposta da parte sua. Gli occhi che si chiudono, l’odore dei suoi capelli che mi pervade, la consistenza morbida delle labbra che ho sognato per anni. Il sesso: rabbioso, concreto, famelico. In tutto simile alle mie fantasie da adulto. Quelle che imparai a fare sul suo conto da quando le dissi di no.

È stata un’idiozia buttare l’hard disk. Lo sapevo: l’agente è stato comprensivo, mi ha aiutato a cercare per un’ora. Ma era come cercare un ago in un pagliaio.
Bisogna avere coscienza delle proprie azioni. Bisogna averla nel momento stesso in cui le si compie.
“Dopo” è sempre troppo tardi. “Dopo” è il tempo dei rimorsi.

8 commenti:

  1. Tempo fa scrissi un racconto: "una storia che non è mai arrivata ad incontrarsi".
    Dopo, meglio non pensarci, dopo soffocheresti nel rimorso.
    E' come svegliarsi e renderti conto che qualcosa è morto, che qualcosa di te è morto definitivamente.
    Non ci puoi fare niente.

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  2. Ho seguito il sequel..
    Ho gustato i tuoi racconti come sempre..
    Mi son piaciuti molto.
    Ora..che sono al terzo..mi aspetta il "dopo"..
    Un dopo che non sarà rimorso, ma rimpianto.
    Il rimpianto di un quarto racconto non scritto.
    Flannery? Ma quanto sopprofonda? Hahahah!

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  3. Questo trittico è pervaso di una malinconia insanabile... Mi sbaglio?

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  4. Dipende, Ale: se ti identifichi nel protagonista di questo sì. Ma se sei Matteo hai un grande futuro davanti.
    (Profondissima, Grace, profondissima. E ora fa' la brava: la pillola e a nanna).
    Il punto, Davide, è non farsi soffocare da ciò che è andato.

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  5. Davvero molto bello questo racconto uno e trino :) Bè, per la malinconia insanabile non mi sembra sia poi tanto insanabile.. in fondo ha perso solo delle foto che, per quanto importanti, non sono la ragione di una vita..gli errori si commettono sempre e comunque e difficilmente si possono evitare, bisogna vedere poi come vi si pone rimedio.. solo se Silas continuasse la storia potremmo scoprire cosa succede a Stefania e al padre di suo figlio..

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  6. Uh come mi piace quando si va sul tragico-passionale! Ma i tre tempi posso giostrarli cronologicamente nella mia fantasia come meglio gradirei, sì? :)

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  7. Ottimo il modo in cui, alla fine, tutti gli elementi di ciascuna delle tre storie si ricompongono in un unico quadro. Applausi.

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  8. io penso sempre che sia meglio avere dei rimorsi che dei rimpianti.
    nel rimorso c'è sempre il "c'ho provato,ma non è andata come volevo".
    nel rimpianto c'è sempre il "perché non l'ho fatto?".
    per questo nella mia giovinezza ho fatto tanti casini da dimenticare, ma ho anche tanti bellissimi ricordi.

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