lunedì 17 gennaio 2011

Referendum 21

“Si spogli”, disse l’agente Mangiaracina. Fece una pausa, prima di continuare: lo guardò dall’alto in basso, come per soppesarne la consistenza, e socchiuse le palpebre. A Giulio sembrò che gli stesse ammiccando ancor prima che la poliziotta gli impartisse il secondo ordine. “Completamente. Si spogli completamente”.
Era un gran bel vedere, l’agente Mangiaracina. Bionda, ma dalla carnagione scura, con occhi di un nocciola intenso e labbra turgide che nascondevano a fatica una lingua ballerina. Naturale che al momento di sfilarsi i boxer Giulio fosse in preda a una solida erezione: nonostante la situazione fosse fuori dal suo controllo, ma forse anche per questo, per quella vaga sfumatura bondage delle sue preferenze erotiche, l’ordine impartito dalla poliziotta gli fece correre il sangue alla testa e, com’era del tutto evidente, non solo lì.
La poliziotta, del resto, gli ricordava Eva. Forse l’agente aveva un seno un po’ meno generoso, ma in generale era lo stesso tipo di ragazza. La fissò: le labbra, in particolare, erano l’elemento di contatto più forte, ma anche il taglio degli occhi e il colore dei capelli erano singolarmente somiglianti a quelli di Eva. Cioè, in qualche modo, al motivo per cui era finito in carcere.

Era naturale, in quella situazione, ripensare a Eva. Era stata una folgorazione, la sua: avrebbe fatto qualsiasi cosa, per conquistarla, e in effetti si era fatto trascinare un po’. Niente di pericoloso, niente che Giulio non avesse fatto per altre ragazze, ma forse un po’ noiosa, come occupazione per una domenica pomeriggio.
Eva era un’attivista del Comitato per il referendum 21, e pur di portarsela a letto Giulio aveva accettato di iscriversi a sua volta. Era finito in centro con una coccarda al petto e un banchetto instabile, ma quando aveva dato la propria disponibilità non aveva capito che sarebbe stato solo. Senza Eva, senza il motivo per il quale aveva accettato di inseguire passanti per convincerli a firmare per la consultazione. “Salve, può dedicarmi un minuto per una causa importante?”, chiedeva, ma lo sapeva anche lui che quella causa non era in fondo così decisiva per le sorti del Paese. Anzi, in definitiva, pensava che il motivo per il quale doveva infastidire la gente fosse del tutto irrilevante: a chi volete che importi niente del referendum per abolire il divieto di far indossare maglioncini ai cani? In realtà, nel profondo delle sue vaghe convinzioni politiche, ma anche del suo senso estetico, credeva che impedire che i boxer fossero imbracati in gilet di lana orrendi fosse persino una decisione di civiltà.
I risultati, com’è ovvio, erano conseguenti. Aveva preso servizio al banchetto alle 10, e all’ora di pranzo non aveva ancora raccolto una firma sui moduli prestampati che fosse una. Stava per decidere di fermarsi e andare a mangiare un boccone con un bel boccale di birra, ma rimandava la decisione perché era convinto che se fosse tornato senza nessun risultato al Comitato se la sarebbe potuta scordare, quella benedetta scopata. Era una spirale da ansia da prestazione, in fondo: non sapeva se interrompere la ricerca o proseguire, ma nel frattempo se ne stava lì a pensare e non fermava nessuno. Il tempo scorreva, le auto continuavano a sputacchiargli gas in faccia e il risultato si allontanava. Il Risultato, quello con la R maiuscola: Eva stesa fra le lenzuola di camera sua, mica il referendum.
A far arrivare la prima firma, infatti, fu una richiesta spontanea. Giulio non l’aveva neanche notata, tanto era assorto: si fermò davanti a lui, lo fissò e gli chiese di firmare. Anzi, per l’esattezza, la domanda fu minimamente differente: “Se io sostengo la tua causa, tu sosterrai la mia?”. Giulio alzò gli occhi dai volantini propagandistici e si sentì mancare il fiato: non per il vestitino a fiori gialli, rossi, verdi, blu e viola che la ragazza indossava, e che già di per sé avrebbe fatto sussultare chiunque per la sua singolare bruttezza, e neanche per il fatto che quel vestitino era talmente leggero che sembrava aspettare un soffio per volare via, ma proprio perché quella era senza dubbio la donna più bella che gli fosse mai capitato di incontrare. Alta, filiforme e quindi non dotata di un seno particolarmente degno di nota, ma con un viso dalle proporzioni perfette. Mora, con i capelli vagamente ondulati, occhi di un verde smeraldo ricco di sfumature e, ancora una volta, labbra carnose e increspate: molto meglio di Eva, qualunque fosse la sua battaglia politica. “Va bene – disse – ma spiegami qual è la tua causa”. Prima che la ragazza potesse iniziare a parlare Giulio la fermò: incassò la firma, ripiegò il banchetto e le propose di pranzare con lui. “Mi sembra un’ottima idea”, sorrise la ragazza tendendo la mano. “Io sono Giada”.
Non si allontanarono di molto: Giulio si fece accompagnare all’auto, posò il banchetto e i volantini nel portabagagli e le propose di sedersi in un pub con cucina tedesca poco lontano dalla sua zona di attività. Giada non aspettò di sedersi per iniziare a discutere della sua causa, ma sembrò voler prendere l’argomento molto alla larga. Era sospettosa, la ragazza: gli fece numerose domande su cosa gli piacesse e cosa no, ma il tono era vagamente inquisitorio, come se ogni risposta di Giulio fosse determinante per il prosieguo della conversazione. Lui, dal canto suo, per non perdere un’occasione del genere si tenne abbastanza sul vago: giudizi non troppo tranchant, nessuna levata di scudi estetica, soprattutto perché se la ragazza trovava naturale andare in giro con un vestito del genere evidentemente non era granché dotata di gusto. L’interrogatorio durò una decina di minuti prima del pranzo e proseguì durante la degustazione di un weisswurst con kartoffelsalat, ma alla fine Giada si decise a scoprire le carte: “Sono del FLCG e vorrei che ti unissi a noi”.
Il FLCG. Ovvero il Fronte per la Liberazione del Cattivo Gusto, una formazione terroristica della quale si sospettava l’esistenza, ma che molti ritenevano fosse solo una balla giornalistica, un espediente per giustificare l’inserimento di specchi stuccati e lampadari dorati in alcuni uffici pubblici. Atti dimostrativi ma mai rivendicati: i giornali avevano ipotizzato che la nuova formazione terroristica volesse protestare in questo modo contro la messa al bando degli oggetti rococò decisa dal governo quattro mesi prima e contro il divieto di utilizzare la parola “kitsch”, ma non c’era mai stata una rivendicazione che facesse pensare a un’iniziativa organica. Adesso Giulio ne aveva la prova: non solo il FLCG esisteva davvero, ma utilizzava gnocche di sorprendente bellezza per adescare adepti. E la pratica, evidentemente, dava i suoi frutti: Giada gli spiegò che il Fronte, in meno di tre mesi, aveva già raggiunto un milione di militanti. Probabilmente gonfiava i numeri, ma non era quello il punto.
Una formazione terroristica. Diventare un individuo misterioso, un pericolo per la società: Giulio era attratto dalla possibilità che gli veniva offerta, oltre che da chi gliela stava offrendo. Accettò. Giada pretese di pagare il conto, si alzò mostrando un culo scultoreo che lì per lì Giulio non aveva notato e lo invitò a seguirla. Lo portò in un palazzone neogotico del centro, sussurrò una parola d’ordine che assomigliava a qualcosa come “La storia di Giovanni e Margherita” e gli presentò altre due amazzoni che dissero di chiamarsi Sonia e Lavinia. La prima immagine che balenò nella testa di Giulio fu una gang bang: districarsi fra Giada, Sonia e Lavinia riflesse in tutti quegli specchi non sarebbe stato male, pensò il ragazzo dando un’occhiata al profluvio di statue neoclassiche che ingombrava la stanza. Le tre fermarono la sua fantasia erotica spiegandogli quale sarebbe stato il suo rito di iniziazione: Giulio fu deluso, quando scoprì che non si trattava di performance di sesso estremo. Tutt’altro: avrebbe dovuto distribuire un centinaio di nani nei giardini della città, ma anche imparare a memoria la formula rituale di giuramento. Naturalmente le tre ragazze condirono la richiesta con argomentazioni sulla necessità del cattivo gusto per fare emergere la bellezza, sul diritto alla libertà d’espressione e sulla temporaneità delle categorie estetiche, ma Giulio tendeva a provocare il vuoto pneumatico nel cervello durante tutte le parti più strettamente politiche. Accettò l’incarico, specificando che avrebbe iniziato il giorno successivo. “Giusto il tempo di restituire i moduli per il referendum 21 per non dare troppo nell’occhio”, spiegò.
La mattina successiva, poco prima dell’alba, era già in auto. Il tour dei giardini cittadini andò abbastanza male, all’inizio: le prime due villette avevano cani molto aggressivi e sufficientemente grossi da far intuire di non aver mai indossato un maglione, ma con un po’ di adrenalina e una piccola dose di fortuna la consegna del nano andò in porto. Le successive trenta furono persino più facili: Giulio imparò a evitare le villette dotate di difese canine, superò indisturbato i cancelli di quelle sprovviste di animali da guardia, posò gli oggetti forniti dal Fronte e sgattaiolò via velocemente. Nessun rischio, niente di più facile: una trentina di nani consegnati in una notte e pochissimi rischi. Quando andò a dormire erano passate da poco le 7: Giulio pensò che gli sarebbero bastate altre due notti per completare l’impresa e abbandonarsi a chissà quali avventure erotiche con le compagne della sua cellula.
L’irruzione arrivò alle 10: appena svegli, una trentina di cittadini aveva denunciato la scoperta di un nano nel proprio giardino e, sfortunatamente per Giulio, alcuni di loro erano sprovvisti di cani perché avevano installato un sistema di videosorveglianza. Uno di questi non si limitò, come gli altri, a inquadrare perfettamente il terrorista, ma riuscì a registrare anche la targa dell’auto. Agli investigatori bastarono poche ore, per rintracciare il sospettato e portarlo in galera.

Giulio era stato processato per direttissima. La pena per gli atti terroristici finalizzati al decadimento del senso estetico collettivo non concedeva valutazioni al giudice: l’unica eccezione alla pena di morte contemplata dal codice penale era concessa ai malati terminali con un’aspettativa di vita inferiore ai tre mesi, ed evidentemente non era il suo caso.
Quando si fu spogliato del tutto, l’agente Mangiaracina gli consegnò un paio di boxer Dolce & Gabbana e un completo scuro di Valentino: al legislatore era sembrato ironico, questo contrappasso nelle condizioni di morte dei terroristi antiestetici. Giulio si vestì di tutto punto, si guardò allo specchio e pensò che in fondo, almeno, moriva vestito con gusto: gli erano sempre piaciuti, questi abiti. Sarebbe stato un peccato, in fin dei conti, abbandonare la vita senza averne mai indossato uno.

13 commenti:

  1. No, dico, qui ti sei superato... Divertente e inquietante allo stesso tempo...

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  2. Si, questo mi sembra davvero in assoluto uno dei più belli... :)

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  3. Mai mettere maglioncini ai cani.
    Diventassero mai amministratori delegati.

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  4. Uss! Che visione brutta un terrorista dispensatore di nani da giardino! Gran bel finale, mi mancava un pò la tragedia!

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  5. Mamma mia quante cose in un solo racconto.
    Flannery..sei tra i miei scrittori preferiti..
    Giulio mi ha fatto pensare a Vallanzasca..
    Ok..dai prendo la pillola e mi metto a letto ;)

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  6. Grazie, ragazzi.
    @mezzatazza: sono d'accordo, rileggendolo a posteriori si poteva limare un po' di roba. E, aggiungo, avrei potuto definire meglio qualcuno dei personaggi femminili. Càpita.

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  7. (scusa forse tu non sai che sono una cacacazzo di vocazione, è che credo nella critica costruttiva alle persone che possono migliorare, altrimenti avrei commentato "che schifo", saluti e a rileggerti)

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  8. (se mi fossi offeso ti avrei mandata a cagare: sei arrivata da poco, ma chi mi segue da tempo sa che so farlo; in effetti, sono d'accordo, questo ha racconto ha un paio di limiti evidenti)

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  9. Ma almeno una delle cinque, poliziotta guardona compresa, potevano fartela scopulare, prima di tirarti il collo.
    Che leggi del cazzo!

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  10. Bel racconto Silas! Proprio un bel racconto sei riuscito a farmi distrarre da un po' di problemi:) Scusa per l'assenza prolungata, ma non è un bel periodo...:)

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  11. morale della favola: per una scopata, si rischia anche la vita. Che eroi questi nostri uomini! eheheheh

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