giovedì 27 gennaio 2011

La macchina del tempo

Silenzio. Arturo si guardò intorno: niente, nessun ticchettìo, se non quello taciturno delle tastiere. Niente, in confronto al rumore che conosceva, a quel meraviglioso frastuono delle macchine per scrivere. Ne aveva sentite venti, trenta, quaranta in contemporanea, e su quell'orchestra dall'arrangiamento intangibile aveva imparato ad appassionarsi, a indignarsi, a riflettere. Aveva imparato a cogliere le sfumature delle parole scritte, a riconoscere il suono metallico perfetto di una Lettera 32 dallo sferragliare incerto di una vecchissima M1, a distinguere l'ansia del “biondino” dalla stanchezza del cronista scafato. Gli mancava, quel mondo, gli mancava senz'altro.
Gli mancava tutto, adesso che era a un passo dalla pensione. Adesso che dall'adrenalina di uno scrivente era passato al desk, a un ruolo di responsabilità: gli avevano affidato la prima pagina, un'autostrada verso la pensione, il riposante gioco della fiducia. E fiducia dovevano averne: a mezzanotte, all'una, quando i colleghi erano tutti a dormire o a bere una birra, lui rimaneva lì, da solo, senza l'assistenza di un caporedattore e men che meno del direttore, con l'incombenza di un titolo efficace, estremo difensore del quotidiano dal folleggiare della cronaca.
La cronaca. Quella se n'era andata, col tempo. Aveva seguito l'odore della colla ed era scomparsa da quelle scrivanie: la nobile abitudine di appiccicare striscioline di carta con i titoli da comporre a video in tipografia era stata sostituita da quella, meno cavalleresca, di raccogliere un'agenzia dal Telpress e metterla in pagina, senza verifiche né sforzo alcuno. Era pur sempre un modo d'incollare, in fondo, e col tempo l'editore aveva capito che dei redattori, degli informatori, dei collaboratori poteva benissimo fare a meno: bastava soltanto qualcuno che fosse capace di leggere un'Ansa e capirla, soppesarla, bilanciarla con un'AdnKronos e il gioco era fatto. Un giornale, purché fosse. Qualcosa di identico a tutti gli altri. Senza vita. Senza odori. Senza storia.
Le storie. Con la colla erano andate via pure quelle: l'intrecciarsi di concretezza, di sofferenze e di virtù, di angosce e pregiudizi, di delitti e castighi, polemiche e conseguenze, negli anni, era sparito. Sparito da tutti i giornali, non solo dal suo: forse era per questo, credeva, che il berlusconismo aveva potuto prendere piede in Italia. Perché nessuno più faceva il mestiere di incollare striscioline di carta, perché nessuno sapeva più quanto sono duri i tasti di una macchina per scrivere e quante imprecazioni costa, quanta fatica c'è in una lettera fuori posto.
Accarezzò il telefono. Compose il 271: rispose Ennio, l'ultimo dimafonista, l'unico forse che come lui aveva visto sparire il mondo di cui era innamorato. Nessuno più dettava i pezzi al telefono: una mail, un click col mouse, e la corrispondenza era gioco fatto. Sorrise: pensò a quante volte, prima che la parola Word entrasse nel suo vocabolario, aveva contato le battute “a orecchio”, a come aveva imparato a misurare gli articoli senza che nessun altro lo facesse per lui. Ennio, dall'altra parte del telefono, ripeté il suo “pronto”, ma Arturo non aveva niente da chiedergli: voleva solo sincerarsi di non essere l'ultimo giapponese, l'ultimo uomo d'un'altra epoca rimasto sulla terra. Avrebbe potuto confidargli le sue angosce, la consapevolezza che, come lui, anche Ennio era destinato a un pensionamento che non prevedeva sostituzione, ma finse di avere sbagliato numero. Ennio, in fondo, era a fine turno, ed era giusto che tornasse tranquillo a casa. Era a fine turno come tutti. Meno lui.
Le luci si spegnevano progressivamente. Arturo vide sfilare Colomba, il cronista giudiziario, poi De Luca e Bono. Andarono via anche gli altri, e una sola luce restò accesa: quella di Tedesco, il giovane cronista parlamentare. Non era più un “biondino”, un giovane giornalista alle prime armi: ormai lavorava lì da quattro o cinque anni, ma aveva conservato l'entusiasmo dei primi giorni, tanto da rimanere fino all'ultimo in redazione per cogliere quella dichiarazione in più, quella sfumatura non colta, quell'intuizione imprevedibile. Arturo avrebbe voluto alzarsi, metterlo in guardia: “Stai attento, Marcello, stai attento. Il tempo sconfiggerà anche te, ti renderà obsoleto, annoiato, abitudinario. Fuggi, finché sei in tempo: metti in salvo il tuo entusiasmo”.
Troppo tardi. Mentre Arturo sceglieva le parole anche Marcello Tedesco andò via: il miagolio di Windows segnalò l'arresto del sistema, poi il giornalista spense la luce, chiuse la porta dell'ufficio e infilò il corridoio. Ancora una volta, quella sera, Arturo era stato sconfitto dal tempo: l'aveva guardato scorrere via, impotente, e non aveva fatto nulla per riportarlo indietro. Già: riportarlo indietro. Gli sarebbe piaciuto, avere una macchina del tempo.
Un'intuizione gli balenò in testa. Raccolse il mouse, lo spostò rapidamente. Completò il lavoro e guardò l'orologio: la prima pagina fu pronta in pochi minuti. Stampò, diede un'occhiata al foglio e si avvicinò verso il muro. La posta pneumatica: già, anche quella era rimasta indenne al tempo. Infilò il foglio in un bussolotto, lo appoggiò sulla bocca del tubo e pigiò il pulsante. Una voragine aspirò la prima pagina verso la tipografia.

Il giorno dopo Arturo non andò al lavoro. Comprò il giornale, lo tenne stretto e andò all'aeroporto. Salì sul primo aereo e solo allora lesse il titolo.
“Leone rassegna le dimissioni
Verso un governo di centro-sinistra”
Mancava un dettaglio: quel giorno il pezzo lo aveva scritto lui. Ma il tempo, ora, era comunque alle sue spalle.
Arturo sorrise.

12 commenti:

  1. mi ha fatto commuovere..la nostalgia e il sogno.. che tenerezza Arturo.

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  2. Direi non male. Anzi, direi MOLTO buono. :D


    p.s. ma quanto mi fa inc****** la verifica parole... :-))

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  3. Suona davvero autentico. Per caso sei un giornalista?

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  4. (Ne deduco che gli altri non suonavano autentici ^^).
    @Zio e Leucò: grazie mille ^^

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  5. Grazie Silas,per il commento lasciatomi su Blog libero scambio..Bello questo pezzo,scritto con la conoscenza di chi ha frequentato quel mondo,magico,delle lettere 22,e poi 32,delle correzioni,delle corse al secondo prima della stampa,mentre subito dopo una rotativa macinava parole,paure refusi,scomponendo e ricomponendo parole titoli colonne fogli e fogli che duravano solo poche ore mentre si pensava già a un'altro giro,un altro titolo.
    Già,la macchina del tempo...

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  6. Cioè, si dimette uno ed è Leone.
    Mai una gioia.
    E sorride pure!
    :D

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  7. Ma no Silas! vale il discorso che ho fatto con lo Zio per il suo ultimo racconto: mi sembra di percepire che quelle sensazioni le abbia vissute veramente...

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  8. (Lo so, Ale, scherzavo).
    @Chicchina: grazie a te per aver aggiunto questo tassello
    @Web: già, Lui non si dimette mai. Ma almeno...

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  9. Ma mi incuriosisce una cosa: aereo per dove?
    :)

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  10. bello, bello, bello, bello, bhello,b...hello,b....lo!!! (mi è mancato il fiato)

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  11. Eh, bei tempi quando le alte cariche dello Stato ancora si dimettevano...

    (Soltanto per la cronaca: fu Leone a nominare cavaliere quello lì di Arcore)

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  12. E, altrettanto per la cronaca, il titolo si riferiva al governo Leone I.
    @Usagi: grazie, grazie, grazie, gra... zie :)
    @Stefania: Antigua.

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