La prima ospitata dell'anno spetta di diritto a Usagi, che conoscete già. A lei la parola.
Fuori è buio e non smette di piovere.
Perché non ho acquistato il navigatore satellitare?
Accosto la macchina. Controllo la cartina. Ho appena superato Saint Sébastien Sur Loire, se seguo il fiume lungo la D119, dovrei arrivare all’Ile de Nantes.
Controllo l’ora. Sono le 20.43 esatte. Non arriverò mai in tempo. Comincio a diventare impaziente.
Riparto con la mia auto e seguo le indicazioni. Ecco l’uscita. La seguo.
Mi hanno detto che la Villa di Madame Dumont si trova su questa statale.
I tergicristalli sono ormai allo stremo, la pioggia è talmente fitta che non si vede ad un palmo di naso. Non nascondo di avere un po’ di paura condita dal giusto pizzico di nervosismo.
Sono certa di essere da qualche parte nel mondo, spero di essere tra le dolci colline della Bretagna, ma potrei essere ovunque. Nessun cartello stradale che mi venga in aiuto.
Oh no! Perché la macchina sobbalza? Sembra avere un attacco improvviso di singhiozzo. Accosto nuovamente. Spengo l’auto, la riaccendo. Inutilmente. Non ne vuole più sapere di ripartire.
Esco dal veicolo per guardarmi intorno, ma l’unico risultato che ottengo è quello di essermi infradiciata. È sempre più buio. La pioggia è simile ad una cascata. Rientro in auto accompagnata da dei brividi di freddo. Controllo l’ora sul cellulare, le 21.30. Avrei dovuto essere alla Villa alle 21.00. Attaccata dal panico, faccio appello a quel poco di sangue freddo che mi rimane. Cerco sulla rubrica il numero di cellulare che mi serve, ma appena inoltro la chiamata, cade la linea. Nessuna tacca. Nessun segnale. Nessun’auto che passi in quella strada dimenticata da Dio e dagli uomini. Le mie mani si accaniscono sul volante, ma facendo così certo non risolvo nulla, ma almeno è una piccola valvola di sfogo.
Riguardo l’ora. Le tre del mattino. Non smette di piovere, nessun’auto in vista, nessun segnale nel cellulare. Ormai sono stremata, il sonno sta per vincermi. Sono sul ciglio di una statale nel bel mezzo del nulla.
I raggi del sole accarezzano il mio viso, apro gli occhi lentamente. Il cielo è limpido, l’aria è fresca e frizzantina. Ho male da per tutto a causa della scomoda posizione nella quale ho dormito.
Sono le 6.30 del mattino, il cellulare è sempre isolato e la macchina non ne vuole sapere di partire.
Esco dal mezzo e cerco di avviarmi a piedi da qualche parte. Qualcuno arriverà a prendermi.
A proposito: che fine ha fatto l’asfalto? Ero convinta di essere su una statale ed invece sto percorrendo un sentiero di terra battuta. Che male ad i piedi. I tacchi non sono l’ideale per una lunga passeggiata. Che voglia di una doccia. Il mio tailleur con pantalone è ormai un tutt’uno con la mia pelle. La borsetta sembra pesare un quintale ed i piedi non smettono di fare urla di protesta.
Rumori di zoccoli? Una carrozza?
Mi volto. Alle mie spalle una meravigliosa carrozza, trainata da 4 splendidi cavalli mi sta raggiungendo. Comincio a dimenare le braccia per farmi notare. Il cocchiere ferma i destrieri e mi guarda con aria incuriosita.
Molto probabilmente, in zona, ci sarà una rievocazione storica.
“Scusi, la mia auto si è fermata, non parte più. Avrei bisogno di una mano. Potreste portarmi dal primo meccanico che si trova sulla strada?”.
Il cocchiere non mi risponde. È avvolto in un lungo mantello. Si apre la portiera della carrozza. Un uomo molto elegante, con il cilindro in testa, un piccolo bastone in mano, una giacca con la coda a due punte, un gilet a righe, un grosso fazzoletto tutto pizzi e merletti legato al collo, pantaloni nascosti da lunghi stivali mi accoglie con un largo sorriso.
Rimango affascinata per un attimo da tutta quell’eleganza. Per essere una rievocazione storica, sicuramente sarà ben fatta. Se non fosse che sono rimasta a piedi nel bel mezzo della Bretagna, andrei a godermi lo spettacolo.
Il signore si toglie il cappello ed accenna ad un inchino.
Imbarazzata, ripeto la mia richiesta.
“Signora, siete alquanto bizzarra. Vestite da uomo, andate in giro da sola in mezzo alla boscaglia. Mi chiedete di un… come avete detto? Un meccanico? Di grazia, cosa sarebbe costui?”.
Comincio ad avere la vaga sensazione che il tizio qui presente mi stia prendendo in giro. Lo guardo con sospetto e faccio istintivamente un passo indietro.
“Non ho tempo per scherzare. Sono rimasta a piedi, ho dormito in auto tutta la notte. Ho bisogno di qualcuno che mi ripari la macchina, di una doccia e di un letto caldo!”.
Quasi urlo le ultime parole.
Il cocchiere affonda la testa nel mantello ed abbassa la bombetta sugli occhi. Il Signore elegante che mi sta davanti ha un’espressione quasi buffa dovuta all’esagerazione dello stupore per la mia risposta.
“Siete voi che scherzate Signorina. State parlando arabo per me. Ripeto, non conosco il termine ‘meccanico’ e non conosco il termine ‘auto’”.
“Non importa, mi arrangerò da sola!”.
“No, no. Non posso lasciare una Signorina indifesa da sola ed in difficoltà! Prego, salite sulla carrozza, Vi do un passaggio fino a Nantes”.
Mi devo fidare? Prendo il cellulare dalla borsetta e me lo infilo in tasca, in modo da essere a portata di mano.
Mi avvio verso la carrozza, il Signore fa un altro inchino e mi lascia salire per prima, per poi seguirmi a bordo.
Mio Dio, che lusso! Cuscini di broccato, sedili di pelle, tende nuove.
“Non ci siamo presentati”.
Gli rispondo e lui fa un’altra espressione buffa. “Avete un’educazione tutta vostra, a quanto mi è dato comprendere! Io sono Maximilian Dufont e sono qui per servirvi”. Mi prende la mano ed appoggia su di essa le sue labbra.
Io mi metto a ridere.
“Non è il caso che reciti in questa situazione…”
“Recitare?!”. Sembra offeso.
Io cerco di rimediare e balbetto: “beh…. Sì… ecco… State preparando una rievocazione storica?”
Lui non risponde.
“La carrozza, i vostri abiti. Che tipo di rievocazione state preparando? L’editto di Nantes? Ah no… quello era intorno al 1600 se non sbaglio, cozzerebbe con il vostro abbigliamento”.
“1598…”
“Cosa?”
“L’editto di Nantes… è stato stipulato nel 1598”. Mi corregge lui.
“Quindi, cosa rievocate?”
“Nulla. Per caso siete fuggita da un manicomio?”.
“Come si permette? Siete lei ed il suo compare che andate in giro con una carrozza, vestiti da damerini dell’800 nel bel mezzo del XXI secolo e dicono che la matta sono io???!”.
“XXI secolo?”
“Il 2000. È più chiaro?”. Glielo dico con un tono di scherno. In fondo è lui che ha cominciato per primo ad offendere.
Lui non risponde. Mi fissa con aria truce. Stringo il cellulare in tasca. Guardo fuori dal finestrino. Per poco non mi piglia un infarto.
La rievocazione è più seria del previsto. Tutti sono vestiti alla moda dell’800. Uomini, donne e bambini. I muri delle case sono in mattoni rossi. Le scritte dei negozi sono dipinte a mano. Centinaia di persone affollano le strade. Urla, risate, carrozze. Bambini che scorazzano tra le gambe della gente. Sembrano tutti usciti dal romanzo “I ragazzi della Via Paal” o meglio ancora, sembravano i fratellini di “Oliver Twist”.
O io sembravo entrata in un romanzo di Dickens o Dumas o Wild o Jane Austin????
“Cosa succede? Siete impallidita”.
“Fate sul serio con le rievocazioni storiche qui in Bretagna…”
“Non abbiamo nulla da rievocare. È una normalissima giornata. Un giorno qualunque!”. Afferma con tono stizzito.
Il mio occhio cade su un giornale che spunta, ordinatamente ripiegato, da sotto un cuscino riccamente ricamato. Lo afferro senza tante cerimonie.
Il mio cuore comincia a battere più veloce del solito, quasi mi esplode in petto. “Le Moniteur Universel” è datato 15 giugno 1839.
“Faccia fermare la carrozza!” Urlo.
Monsieur Dufont, batte il bastone sulla parete della carrozza. Non fa storie, non si preoccupa più della mia incolumità. Ormai è convinto che sono una pazza.
La carrozza si ferma, io scendo di corsa.
Non so dove devo andare, cosa devo fare, l’unica cosa che so è che devo capire.
Con il “Moniteur Universel” sotto braccio percorso a grandi passi la strada acciottolata. Evito pozzanghere e scavalco il letame dei cavalli. Cerco di non andare addosso alla gente indaffarata. Vengo notata ed additata. Sento le parole “guardate come è vestita quella donna…”, “non esiste più il pudore”, “che svergognata!”, “bisognerebbe chiamare le guardie…”.
Cerco di non fare caso alle parole e agli sguardi della gente. Cosa posso fare? A chi dovrei rivolgermi?
Finalmente, riesco ad individuare un vicolo isolato. Mi fermo. Appoggio la schiena al muro. Ho il fiatone. Mi guardo. Ho i tacchi, un tailleur con pantalone blu a righe bianche. Ho i capelli arruffati. Istintivamente guardo il cellulare. È acceso e non prende nessuna tacca.
Dei ragazzotti con le braghe corte e la coppola in testa escono da dietro l’angolo.
“Ehi bella signorina, cosa ci fate da queste parti. Siete venuta da allietare la nostra giornata?”.
Punto loro contro il cellulare come se fosse un’arma e faccio partire la suoneria dei Metallica giusto il tempo di lasciare sbalorditi e confusi i due farabutti e scappare a gambe levate.
La mia mano viene afferrata. Non faccio in tempo ad urlare che mi trovo di fronte ad un ragazzino di circa 10 od 11 anni.
“Venite con me!”
Non so perché, ma lo seguo.
Troviamo un nascondiglio all’interno di una chiesa.
“Grazie, ragazzino. Sei stato molto gentile!”
“Se mi dite cosa è quell’oggetto che emette rumori, posso portarvi in un posto ancora più sicuro!”.
Rido. “Come ti chiami ragazzino?”
“Jules Verne”.
Solito ps per chi se lo fosse perso ieri: gli amici svogliati pubblicano un mio racconto. Nota: è abbastanza crudo.
Solito ps per chi se lo fosse perso ieri: gli amici svogliati pubblicano un mio racconto. Nota: è abbastanza crudo.
...Così impeganata a incastonarsi storicamente che si è lasciata sfuggire il Principe Azzurro!
RispondiEliminaEggià, quel che si dice un buon partito.
RispondiEliminaBellissimo! Fantastico! Avvincente e pure dal finale divertente! I Metallica! (ma Monsieur Dufont conosceva la doccia! perdincisbacco!)
RispondiEliminaeh eh eh....:-) credo che chiunque si trovi con un tipo vestito strano su una carrozza, tralasci il fatto che sia azzurro o di qualsiasi altro colore. Io, ad esempio, non ci sarei mai salita....
RispondiEliminaper quanto riguarda il fatto che Monsieur Dufont conosca la doccia è perché non ha notato la parola quando la protagonista l'ha nominata (mettiamola così). Per tutto il resto c'è wikipedia... eheheh
Comunque grazie CharlieB. per i complimenti!